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R Recensione

7/10

Noxagt

Brutage

…ed ora, qualcosa di veramente pericoloso. Ci voleva la resurrezione di un oscuro power trio norvegese, dimenticato da Odino e dagli uomini, per ritornare ad aver chiaro il concetto di annoying music. D’altro canto, l’etimologia dell’aggettivo inglese, di colta derivazione classica, sottende una semantica ben più ampia di quella odierna: del fastidio, cioè, che secca, che molesta e suscita una reazione repulsiva. Nel cuore di annoying c’è la ferita che stilla il sangue dell’odio, un concentrato di negatività fomentato dall’esterno, una controffensiva spietata ad una sollecitazione terza sgradevole e continuata. Così “Brutage”, raccolta di ansiogeni delitti contro la psiche ed il corpo altrui che, nato da pretesti di per loro disturbanti, a sua volta disturba chi lo ascolta, in una catena inafferrabile di gelido calcolo sonoro.

Era, al tempo di “The Iron Point” (2004), più originale e variegato il suono dei Noxagt, che arditamente sostituivano la chitarra elettrica (la componente imprescindibile di una percentuale considerevole della Scandinavia in note) con la viola di Nils Erga, rimpiazzato poi da Anders Hana (a sua volta vittima del subentrante John Hegre) alla vigilia dell’omonimo full length del 2006. Otto anni di silenzio sono serviti per distillare, in “Brutage”, un finissimo compendio di brutture, asperità e macerie sonore. Immaginate le storture più spinte dei Laddio Bolocko, i Dead C degli anni d’oro (quelli di “Tusk”, 1997, per chi scrive), il mesmerizzante intontimento kraut-noise dei My Disco di “Paradise”, le distorsioni fuori controllo dei fenomenali compatrioti Staer: la miscela detonante va poi tagliata su misura per un mostruoso songwriting che fa del minimalismo strumentale un’arma contundente e delle sottili, continue micro variazioni tematiche lo scudo di difesa (come gli Orthlerm di “OV”, insomma, ma senza la benché minima traccia di autocompiacimento).

Ne nasce un aborto d’impatto impressionante. “You Were Followed By A Man From The Station To Your House.”, preceduta da un breve intro programmatico, è uno stillicidio chitarristico che sovrappone sciabolata a sciabolata, mentre il basso di Kjetil Brandsdal e il drum kit di Jan Christian Lauritzen Kyvik avanzano compatti, guadagnando centimetro dopo centimetro (un vero e proprio trapano, una prova di forza sbalorditiva) grazie a figure ritmiche che si moltiplicano dissennatamente. L’attacco di “Someone Calls You Every Night But Says Nothing. You Can't Sleep.” (e lo stacco tonitruante a 5:25) quasi ricorda i MoRkObOt di “MoRtO”, ma le palpitazioni ansiogene che pervadono frequenze sempre più basse ed ostili sono del tutto estranee all’approccio ludico del trio di Lodi. Mai per un attimo ci si può abbandonare alle facezie, insomma, e il post-core luciferino di “A Colleague Came To Your House And Punched You. Your Room Became Very Messy.” (su cui intervengono astrali delay di chitarra e laconici feedback) lo dimostra in pieno. Le efferate sevizie si placano solamente nell’ambient marcescente di “A Drunken Person Kicked You At The Station And You Had To Go To The Hospital.”, ma la tensione rimane altissima e non trova estinzione.

Un disco per pochi, e tutti dal precario equilibrio mentale…

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Paolo Nuzzi alle 9:14 del 25 febbraio 2015 ha scritto:

I Norvegesi sono avanti in fatto di musica, si sa. Al di là di questo, visto che scrivi benissimo, mi hai fatto venire una voglia criminale di ascoltare il gruppo in questione. Bravo, davvero. Farotti sapere