R Recensione

7/10

Clem Snide

Hungry Bird

Dannato mondo dell’intellighenzia pop. Hai sempre avuto un debole per costruire e disfare fenomeni da baraccone a guisa di presidenza interista, ma ce l’avevi l’occhio di riguardo per alcuni particolari pupilli, no? Qualcosa non va, allora: ci devi proprio spiegare perché hai permesso che un gruppo come i Clem Snide, dopo aver passato quattordici anni a tratteggiare delicate storie rurali in giro per l’America, si sciogliesse di colpo, senza dire niente. Nel 2005. No, ma dico: almeno avvisare? Dire che qualcosa bolliva in pentola, pareva brutto? Ci saremmo quantomeno preparati, listati a lutto, avremmo accompagnato la processione con canti d’eccezione. Invece, niente.

Vabbè, dannato mondo dell’intellighenzia pop, ma i Clem Snide sono risorti, lo sai? E d’accordo che se si comincia a discutere sul significato primo di “reunion” viene fuori un casino semantico/ideologico che non la finiamo più. Di certo, comunque, non è una sporca faccenda monetaria: chi cacchio li conosce, al di fuori della Grande Mela? È un ritorno che sa di cose da dire, capisci cosa intendo? Ci sono nuovi argomenti, un nuovo bagaglio musicale, arrangiamenti curati, melodie semplici ma non banali, tranquille e raffinate.

Tutto questo in appena quattro anni – e anche anche -. D’altra parte lo stesso pseudonimo della band conferma questo carattere pacato, lineare, solare: Clem Snide era uno fra i personaggi di alcune delle novelle più riuscite del compianto William Borroughs.

Hungry Bird” è un disco dal potenziale enorme, di certo questo non ti sarà sfuggito. Sì, so già cosa dirai: che cosa mi aggiungono in più quattro tizi che prendono il country, il rock lo-fi, il songwriting americano (“Beard Of Bees”, voce e chitarra acustica per un brano scheletrico ma convincente), un violoncellista di turno, caricando il tutto di una forte sensibilità armonica? Forse niente. Eppure questi pezzi, pur nella loro schematicità, nella loro massima fruibilità, sanno arrivare dritti al cuore come pochi. Magari la voce nasale di Eef Barzelay, negli episodi più incalzanti e sostenuti, potrebbe apparire un incrocio genetico fra Thee, Stranded Horse e Adam Green (“Me No”) e delicate strenne jazzistiche sembrerebbero mimetizzarsi in flessuose vestaglie brit (“Born A Man”). Dici che tutto questo è anacronistico? Ma come giudichi, allora, gli elettrici arabeschi di “The Endless Endings”, intensa litania etno-rock dagli apocalittici reflussi?

Diciamocelo sinceramente, da amico ad amico: avevi semplicemente preso un granchio mica da ridere. Se avessi persistito nei tuoi propositi distruttivi, nella tua fame cannibalistica, avresti stroncato un’ennesima, importante realtà. Non credi anche tu che sia così bello sedersi davanti ad un fuoco, muniti di sola penna, strumentazione ed alcolico corroborante, per abbozzare una dolce linea di basso sulla quale erigere, minuto dopo minuto, una perfetta introspezione cantatoriale, ed inserire un delicato innesto di tromba quando le cose cominciano a farsi pedanti (“Burn The Light”, bellissima)?

E finire magari tutti assieme attorno ad un pianoforte, mentre il più ispirato del gruppo attacca un tema in chitarra, a cantare coralmente “pray for the non-believer”, mentre fuori piove, fa freddo e, in sottofondo, la puntina del vinile legge un 33 giri di Nick Drake? “Pray, nobody loves you”, dice ora straziato Barzelay, mentre la solidità della forma/canzone comincia a dilatarsi e a sfumare in mille riverberi psichedelici: il brano è, inutile dirlo, “Pray”. Sappi che stavi per abortire questi otto minuti: non senti nemmeno un po’ di vergogna?

Suvvia, non preoccuparti: i Clem Snide hanno trovato il rimedio per te. Nonostante tutto ti sono ancora affezionati e, fra Okkervil River e Neutral Milk Hotel, sono riusciti a trovarti un rimedio a prova di bomba. “With All My Heart”. Pennellate di colore su una copertina monotematica. Forza, dannato mondo dell’intellighenzia pop: da oggi potresti anche ritrovare il sorriso.

V Voti

Voto degli utenti: 6,7/10 in media su 3 voti.
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target 6/10
Khaio 9/10
REBBY 5/10

C Commenti

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REBBY (ha votato 5 questo disco) alle 11:28 del 3 marzo 2009 ha scritto:

Bella recensione Marco. Il disco lo ascolterò di

sicuro.

target (ha votato 6 questo disco) alle 17:51 del 3 marzo 2009 ha scritto:

Disco onesto, ma dopo un po' di ascolti non mi ha lasciato granché: molto quieto, placido, sottoritmo. Gradevole, ma senza picchi, e con qualche lungaggine di troppo. In cose tipo "Beard of bees", più snelle e concise, è dove mi convince di più. Bella marco che torna in versione folk/pop!