Inner City
Paradise
Ci sono dischi che raggiungono un così alto risultato di ascolto da riuscire a varcare i confini del proprio specifico genere musicale, ottenendo un successo che coinvolge anche un pubblico di natura differente. Album degni di nota, che segnano le tappe evolutive del loro genere, elevandosi sopra agli altri. Paradise, pietra angolare della dance music, appartiene sicuramente a questa categoria.
Gli Inner City nascono da un ambiente artisticamente vivacissimo, la Detroit alla fine degli anni '80: una scena ricca di dj come Derrick May e Juan Atkins, famosi in tutto il mondo per le loro anticipazioni del sound techno. La combinazione offerta dal progetto Inner City è però unica: essa ingloba le tendenze house del momento, incarnate proprio da uno dei protagonisti del tempo, dj Kevin Saunderson, e nello stesso tempo si rivolge a sonorità vicine al pop, interamente affidate al talento di Paris Grey, cantante dalla voce calda con un passato nella musica gospel.
Evidentemente è una formula vincente, dal momento che il disco ottiene un successo di risonanza globale non solo negli Stati Uniti, ma anche in Europa: in Inghilterra raggiunge il terzo posto delle classifiche di vendita. Ognuno dei 4 singoli estratti (Big Fun, Good Life, Ain't Nobody Better, Do You Love What You Feel) schizzerà al primo posto delle classifiche dance statunitensi, rimanendo comunque costantemente nella top-20 inglese. Paradise diventa così il manifesto artistico dell'evoluzione della house, dalla cui diretta discendenza nascerà la techno music, poco tempo dopo.
La peculiarità del disco è lampante già dal primo ascolto. La musica espressa trasmette un grande calore, che dalla dance non ci si aspetta. I ritmi non trascendono in alcun eccesso, risultano sempre molto piacevoli. Le canzoni sono ideali per il dancefloor, ballabili con gioia, mai scatenate. E la voce di Paris Grey si muove con grandissima agilità all'interno di questo "little beat", dando a ogni traccia una dimensione melodica forte. L'armonia tra vocalizzo e ritmica è perfetta, e raggiunge risultati eccellenti in molti casi: ad esempio nella title track Paradise, piccolo gioiello vicino al pop con un efficace ritornello melodico, o in Set Your Body Free.
Grazie al contributo di Grey, il disco si lascia influenzare da sfumature rhythm&blues e funk, come in Big Fun o in Ain't Nobody Better. Ma ci sono anche momenti più intensi: Power Of Passion, il brano più impegnato del disco, è una ballata black con una chiara impronta soul, che acquista spessore grazie allo splendido contributo vocale della cantante. Una voce profonda, un talento inaspettato per una ragazza di 23 anni.
Good Life è il loro più grande successo, uno dei brani dance più ricordati di sempre. Trascinato da un video fresco e giovanile, è uno spensierato pezzo di dance facile e immediata, che condensa dentro di sè un beat marcato e una certa determinazione funk. Sono i tratti distintivi del loro stile, e suonano con vigore anche nella traccia gemella Big Fun, altra grande hit.
Altra traccia da menzionare è sicuramente And I Do, apice futuristico del disco: prodotto dal "padrino della techno" Juan Atkins in persona, è un brano dal ritmo serratissimo, precursore di quel Big Beat che fiorirà a metà degli anni '90, sul quale gioca con largo anticipo.
E' dunque chiaro il doppio merito che va riconosciuto a Paradise: quello di aver conquistato il maistream partendo da un mondo poco consono al successo globale come la dance; ma ancor di più, quello di esserci riuscito con suoni che al tempo erano una vera e propria avanguardia. Ci vorrà qualche altro anno, prima che l'eredità degli Inner City, e più in generale della techno di Detroit, verrà raccolta da un sound definitivo grazie al contributo di gruppi come Prodigy, Chemical Brothers e Crystal Method. Ma fino ad allora, questo disco è rimasto un esempio assolutamente inimitabile.
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