R Recensione

8/10

Inner City

Paradise

Ci sono dischi che raggiungono un così alto risultato di ascolto da riuscire a varcare i confini del proprio specifico genere musicale, ottenendo un successo che coinvolge anche un pubblico di natura differente. Album degni di nota, che segnano le tappe evolutive del loro genere, elevandosi sopra agli altri. Paradise, pietra angolare della dance music, appartiene sicuramente a questa categoria.

 

Gli Inner City nascono da un ambiente artisticamente vivacissimo, la Detroit alla fine degli anni '80: una scena ricca di dj come Derrick May e Juan Atkins, famosi in tutto il mondo per le loro anticipazioni del sound techno. La combinazione offerta dal progetto Inner City è però unica: essa ingloba le tendenze house del momento, incarnate proprio da uno dei protagonisti del tempo, dj Kevin Saunderson, e nello stesso tempo si rivolge a sonorità vicine al pop, interamente affidate al talento di Paris Grey, cantante dalla voce calda con un passato nella musica gospel.

 

Evidentemente è una formula vincente, dal momento che il disco ottiene un successo di risonanza globale non solo negli Stati Uniti, ma anche in Europa: in Inghilterra raggiunge il terzo posto delle classifiche di vendita. Ognuno dei 4 singoli estratti (Big Fun, Good Life, Ain't Nobody Better, Do You Love What You Feel) schizzerà al primo posto delle classifiche dance statunitensi, rimanendo comunque costantemente nella top-20 inglese. Paradise diventa così il manifesto artistico dell'evoluzione della house, dalla cui diretta discendenza nascerà la techno music, poco tempo dopo.

 

La peculiarità del disco è lampante già dal primo ascolto. La musica espressa trasmette un grande calore, che dalla dance non ci si aspetta. I ritmi non trascendono in alcun eccesso, risultano sempre molto piacevoli. Le canzoni sono ideali per il dancefloor, ballabili con gioia, mai scatenate. E la voce di Paris Grey si muove con grandissima agilità all'interno di questo "little beat", dando a ogni traccia una dimensione melodica forte. L'armonia tra vocalizzo e ritmica è perfetta, e raggiunge risultati eccellenti in molti casi: ad esempio nella title track Paradise, piccolo gioiello vicino al pop con un efficace ritornello melodico, o in Set Your Body Free.

 

Grazie al contributo di Grey, il disco si lascia influenzare da sfumature rhythm&blues e funk, come in Big Fun o in Ain't Nobody Better. Ma ci sono anche momenti più intensi: Power Of Passion, il brano più impegnato del disco, è una ballata black con una chiara impronta soul, che acquista spessore grazie allo splendido contributo vocale della cantante. Una voce profonda, un talento inaspettato per una ragazza di 23 anni.

 

Good Life è il loro più grande successo, uno dei brani dance più ricordati di sempre. Trascinato da un video fresco e giovanile, è uno spensierato pezzo di dance facile e immediata, che condensa dentro di sè un beat marcato e una certa determinazione funk. Sono i tratti distintivi del loro stile, e suonano con vigore anche nella traccia gemella Big Fun, altra grande hit.

Altra traccia da menzionare è sicuramente And I Do, apice futuristico del disco: prodotto dal "padrino della techno" Juan Atkins in persona, è un brano dal ritmo serratissimo, precursore di quel Big Beat che fiorirà a metà degli anni '90, sul quale gioca con largo anticipo.

 

E' dunque chiaro il doppio merito che va riconosciuto a Paradise: quello di aver conquistato il maistream partendo da un mondo poco consono al successo globale come la dance; ma ancor di più, quello di esserci riuscito con suoni che al tempo erano una vera e propria avanguardia. Ci vorrà qualche altro anno, prima che l'eredità degli Inner City, e più in generale della techno di Detroit, verrà raccolta da un sound definitivo grazie al contributo di gruppi come Prodigy, Chemical Brothers e Crystal Method. Ma fino ad allora, questo disco è rimasto un esempio assolutamente inimitabile.

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loson 8/10

C Commenti

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loson (ha votato 8 questo disco) alle 15:23 del 26 febbraio 2010 ha scritto:

Mah, c'è molta confusione in questo scritto. Innanzitutto, il primo esempio "compiuto" di techno è datato 1985, porta la firma di Juan Atkins (sotto la sigla Model 500) e di nome fà "No UFO's". Non si capisce, quindi, come Atkins abbia potuto anticipare qualcosa che, di fatto, ha inventato lui stesso. Per converso, è opinione diffusa che il primo pezzo a marchiarsi dell'appeativo "house" sia stato "On And On" di Jesse Saunders e Vince Lawrence, datato 1983 (la DJ International fu la prima etichetta a pubblicare house music, e fu fondata anch'essa nel'83). Probabile che con il generico "dance" tu ti riferisca a questo. Cito ancora: "Paradise diventa così il manifesto artistico dell'evoluzione della house, dalla cui diretta discendenza nascerà la techno music, poco tempo dopo". Ora, abbiamo già chiarito che la techno nasce molto prima, ma ancora non capisco perchè inquadri "Paradise" come tappa del continuum house, dato che il disco è "semplicemente" techno virata pop/soul. Kevin Saunderson non fu un protagonista della house, ma della techno: trattasi del terzo membro dei Belleville Three, assieme a May e Atkins. Poi certo, il suo stile è stato forse quello più trasversale, capace di imprevedibili incroci stilistici techno/house (alcuni parlano perisino di una sua diretta influenza sul modo di concepire i bassi nel darkcore britannico) e non può certo escludersi che "Paradise" abbia esercitato un influsso sulla house ancora da venire. Ma, appunto, trattasi di techno che influenza house, non viceversa.

loson (ha votato 8 questo disco) alle 15:38 del 26 febbraio 2010 ha scritto:

Ah già, il voto (al disco)...

synth_charmer, autore, alle 15:48 del 26 febbraio 2010 ha scritto:

C'è in effetti una differente concezione dei generi, se ne parlava proprio nel forum: vedi topic "La dedica della techno", sulle origini di questo genere. E' vero, molti riconducono le radici della techno alla corrente di Detroit, ma io vedo quella corrente in realtà come facente parte della house. Ok, possono essere considerati gli antenati della techno, ma sono ancora un po' distanti da quel sound. E' significativo che protagonisti del genere techno come gli LFO degli anni '90 non sentono un vero e proprio legame con i 3 di Detroit (rimando ancora al forum). E gli LFO sono i veri e propri fautori del sound techno moderno. Io propendo per il loro modo di intendere questo genere.

loson (ha votato 8 questo disco) alle 16:17 del 26 febbraio 2010 ha scritto:

RE:

Nulla da dire sul ruolo di "cesura" che hanno svolto gli LFO (Reynolds, ad esempio, riconduce il loro suono più all'electro che non all'estetica house o techno, e questo fà pensare...), però adesso non è che siano diventati improvviamente degli oracoli. ;D Io, ad esempio, nella loro variante bleep'n'bass sento tantissimo il tocco più furioso e minimale del collettivo Underground Resistance (e quindi della seconda generazione di Detroit), che poi con Mills e Hood detterà legge sulla techno dei '90. Per me l'estetica techno è un continuo mutare, e come base non si può prescindere dall'eleganza pionieristica, quasi "smooth", del sound detroitiano. E' lì che è nato tutto, in fondo.

loson (ha votato 8 questo disco) alle 16:26 del 26 febbraio 2010 ha scritto:

"Ok, possono essere considerati gli antenati della techno, ma sono ancora un po' distanti da quel sound." ---> Vabbè, ma allora anche la primissima house di Knuckles o la "deep" di Larry Heard sono piuttosto diverse dal sound di Felix Da Housecat o Green Velvet che dominerà i '90s (pensa poi al French Touch!), ciò non toglie che a proposito di "Your Love" o "Amneisa" si parli di house, non di disco.

synth_charmer, autore, alle 17:26 del 26 febbraio 2010 ha scritto:

Beh, siamo d'accordo entrambi nell'intendere la corrente di Detroit l'anello di congiunzione tra la house e la techno anni '90 sul modo di categorizzarla, prendo atto del fatto che non riconoscergli le radici della techno fa "arrabbiare" qualcuno adoro gli scambi costruttivi di prospettiva..

loson (ha votato 8 questo disco) alle 18:03 del 26 febbraio 2010 ha scritto:

RE:

Ma ci mancherebbe, non sono arrabbiato. Anche a me piace confrontarmi con chi la pensa diversamente, altrimenti sai che noia... Più che come anello di congiunzione, vedo la prima Detroit proprio come un momento di "distacco" dalla house con annessa la definizione di suoni e immaginari (gli scenari futuristici e iper-tecnologici, l'interscambio uomo-macchina) già "autonomi" e ben distanti dal flusso post-disco che ha generato la prima house (anche quella più elettronica, di derivazione "italo" e hi-nrg). Certo, nell'impasto permane un retrogusto vagamente soul e qualche sentore di romanticismo, ma per molti - e anche per me - questo è proprio l'elemento di riconoscibilità della scena, il suo perno invisibile. E sarà sempre a Detroit che pure questo perno verrà scardinato, con l'avvento di +8 e UR, la seconda generazione cresciuta a pane e EBM. "Waveform Transmission vol.1" di Mills, in questo senso, rappresenta il momento in cui tutti questi sforzi trovano un punto di arrivo (e di partenza) che ha del miracoloso.

TheManMachine alle 22:19 del 27 febbraio 2010 ha scritto:

A proposito di Juan Atkins, vorrei aggiungere che, se parliamo di "com'era cominciato tutto" non si può non menzionare il suo primo concreto progetto musicale, e cioè la band Cybotron che Atkins formò nel 1980 assieme a Richard Davis e John Housley. Sappiamo che questa band ebbe vita relativamente breve per i dissensi tra i suoi membri sul genere musicale da seguire, ma un importante risultato fu l'album d'esordio "Enter", del 1983. Generalmente considerato più appartenente al genere electro, questo disco conteneva però già delle chiare intuizioni che faranno scuola nella techno. L'album fu poi ripubblicato con un titolo diverso, "Clear", (che ho tra l'altro segnalato nel forum di sdm alcuni giorni fa) nel 1990, e una tracklist leggermente modificata. Basta ascoltare brani come "Cosmic Cars" oppure la title track "Clear" per capire che qui gli stilemi del genere techno sono presenti a tutti gli effetti.

loson (ha votato 8 questo disco) alle 16:10 del 28 febbraio 2010 ha scritto:

RE:

Hai ragione, grandi Cybotron. Però forse sono ancora troppo legati all'electro per essere definiti propriamente "techno", ecco perchè gente assai più competente di me preferisce far partire tutto dai Model 500. Poi certo, se si volesse risalire all'antenato più "compiuto" allora basterebbe optare per "E2-E4" di Manuel Gottsching e si andrebbe sul sicuro.