V Video

R Recensione

7/10

Anathema

Universal

Gli Anathema nel loro genere – qualcosa a cavallo fra post-progressive, post-metal e atmospheric-rock –  sono divenuti una vera istituzione. Ma il valore della band capitanata dai fratelli VincentDaniel e Jamie Cavanagh probabilmente prescinde la stretta definizione di un genere ad hoc: il loro talento si concretizza nella sapienza di aver gestito una graduale ma inesorabile transizione dal gothic-metal degli esordi (esattamente vent’anni fa), all’ariosa miscela di progressive-rock sinfonico messa a punto negli ultimi due/tre lustri. Una lenta transizione che non solo si è lasciata alle spalle l’epos e le res gestae della fase gothic/doom/epic, ma anche quella cupa tristezza (a cui attingeva la penna dell’altro founder member Duncan Patterson, fuoriuscito dalla line-up nel 1998, all’indomani dello stupendo “Alternative 4”), per aprirsi a mondi più solari e sentimentali pur se costantemente solcati da uno sguardo malinconico. Non tutti hanno gradito la metamorfosi, ma quella che abbiamo oggi è una band matura e capace di scrivere brani “diversamente” potenti, dalle melodie cristalline e avvolgenti. Al di là del ricorso a testi talvolta caratterizzati da un romanticismo un po’ troppo ostentato e che non prova a confrontarsi con metafore particolarmente ardite. 

I “semi del cambiamento” erano già stati sparsi proprio con “Alternative 4”, ma è attraverso una sequenza di album di grande spessore – d’obbligo citare quella gemma di “A Natural Disaster” del 2003 –  che si è giunti al punto finale della trasformazione rappresentato dagli ultimi due lavori in studio, “We’re Here Because We’re Here (2010) e “Weather Systems” (2012),  dai quali è stato ampiamente attinto per costruire la setlist dell’ultimo tour.

Registrato in audio e video in Bulgaria il 22 settembre dello scorso anno, all’anfiteatro romano di  Philippopolis, in compagnia della Plovdiv Philarmonic Orchestra (trentaquattro elementi), “Universal” è un documento live che cattura nel migliore dei modi – la regia è di Lasse Hoile, che ha affermato il suo nome grazie al lavoro grafico/visuale realizzato per Porcupine TreeSteven Wilson e Dream Theater – l’essenza  degli Anathema, di ciò a cui hanno caparbiamente voluto aspirare. Oltre ai tanti brani recenti (impossibile evidenziare dei momenti topici), il cui impeto nell’esecuzione dimostra quanto il gruppo si riconosca in essi, c’è spazio per rendere il giusto omaggio ad “A Natural Disaster”: Closer, la title track (intensamente interpretata dalla singer Lee Douglas) e la fantastica Flying sono chiamate a rappresentare nel modo più degno possibile un autentico capolavoro. Un tributo viene offerto a quel “Judgement” del 1999 che per molti costituisce uno dei capitoli più avvincenti nella discografia degli Anathema: DeepOne Last GoodbyeEmotional WinterWings Of God ne tratteggiano in modo vigoroso ed evocativo la fisionomia. Fragile Dreams è ormai un inno irrinunciabile, tanto che viete presentato sia nella versione “quieta” assaporata nell’album di riproposizioni unplugged-sinfoniche “Hindsight” (2008), sia – come ultimissimo encore – nella sua ruggente veste originaria, opportunamente energizzata dalla dimensione live.  Il nuovo tastierista Daniel Cardoso è visibilmente divenuto una figura essenziale nell’attuale assetto identitario degli Anathema, mentre il batterista John Douglas fa quello che può per sostenere il pathos delle composizioni, essendo fra i membri della formazione, probabilmente quello meno dotato di skill tecnico. C’è comunque una orchestra alle spalle e, anche se non interviene mai in modo da rendere stucchevoli ed eccessivamente ridondanti gli arrangiamenti, riesce a mantenere la marea emozionale a livelli di doverosa attenzione: avendo ben stampati nella memoria gli esiti ampollosi delle tante band che in passato si sono presentate sul palco in compagnia di una orchestra, davvero viene voglia di esprimere un sincero plauso all’esperimento ripetuto dagli Anathema.

Le riprese, effettuate da undici operatori, restituiscono un film efficace più a raccontare le emozioni di musicisti, spesso inquadrati con primi piani sui loro volti sudati e felici, che non quelle del pubblico antistante: anzi i due mondi rimangono spesso separati, senza che avvenga un reale abbraccio fra essi. Va detto, a onor del vero, che la vertiginosa gradinata dell’anfiteatro non consente vedute di massa o riprese di ampio respiro. Le luci e i fumi di scena vengono invece catturati ed esaltati con maestria dalla fotografia. Lasse Hoile raramente è riuscito, anche in passato, a gettare uno sguardo non semplicemente documentaristico su un concerto: tuttavia il suo lavoro è puntuale e sufficiente a cogliere nel segno il senso della serata.

Nessun virtuosismo interviene a deviare la concentrazione dal costante, densissimo, melodioso flusso sonoro: la performance è davvero maiuscola ed in specialmente le prestazioni vocali dei due singer (Vincent Cavanagh, elegante animale da palcoscenico e Lee Douglas, più riservata ma non meno significativa) si completano vicendevolmente e magistralmente.

Chi già ama la band di Liverpool, davvero non potrà fare a meno di aggiungere ai due precedenti  “Were You There?” (2004) e “A Moment In Time” (2006), quella che è sicuramente la più professionale, “adulta” e compiuta  fra le testimonianze live finora pubblicate. Gli altri, ascoltatori-osservatori di passaggio, potrebbero cogliere l’opportunità di fare esperienza – in modo comunque coinvolgente – di un gruppo fragorosamente romantico e rigorosamente in divenire

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 [“Universal” è disponibile nei tre formati: blu-ray, cd+dvd e 2cd+dvd+blu-ray]

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swansong 9,5/10

C Commenti

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Utente non più registrato alle 13:51 del 4 dicembre 2013 ha scritto:

A parer mio, il pregio ed il difetto di questo best of dal vivo è racchiuso dalla pur bella immagine di copertina...

Stefano in sede di recensione di un live dell'anno scorso, scriveva:

"...anche questa volta qualche remora sulla carenza di cerebralità nella musica degli Anathema (qui scorgo una contraddizione con alcune argomentazioni imbastite di recente...) passa completamente in secondo piano (mica tanto) rispetto a quanto questa band investe dal punto di vista emozionale.

Gli vogliamo (abbastanza) bene così come sono: ROMANTICONI e veraci."

Ovviamente le aggiunte tra parentesi sono mie.

Un plauso a Lasse Hoile, forse "reo" della collaborazione con Steven Wilson... che, nonostante una situazione creativamente meno stimolante, è riuscito in un buon lavoro.

swansong (ha votato 9,5 questo disco) alle 18:07 del 4 dicembre 2013 ha scritto:

Poco da fare. Sarò ripetitivo, ma per me gli Anathema sono il miglior gruppo rock (per intensità e coinvolgimento) attualmente in circolazione. Parere ormai consolidato da almeno una 15 d'anni e che ha trovato l'ennesima conferma dopo lo splendido set acustico del mese scorso a Bologna dove hanno suonato per oltre due ore brani loro e numerose cover (fra le quali splendide versioni di High Hopes e Another Brick in the Wall part 2) e condotto dalle voci dei fratelli Cavanagh (Daniel e Vincent) e di Lee Douglas oltre a 2 chitarre ed uno step sequencer. Semplicemente sublimi. Il disco live in questione mi piace molto, l'unico appunto che mi sento di muovere è legato alla scaletta in generale, ma in particolare a quella risultante nel cd audio, troppo incentrata sui pur ottimi ultimi lavori. Avrei gradito l'azzardo, vista la presenza dell'orchestra, di una riproposizione di alcuni vecchi brani nella veste orchestrale sullo stile dell'album Falling Deeper

Utente non più registrato alle 14:19 del 5 dicembre 2013 ha scritto:

Gli Anathema sono LA segnalazione dell’amico swansong (con tutte le differenze/preferenze del caso…), e questo mi porta dritto ad una considerazione che credo ahi loro penalizzi il gruppo.

Io non gli avrei mai presi in considerazione, se non in tempi recenti, perché spesso e volentieri vengono ancora etichettati come speed/trash/doom/death metal (e il nome non aiuta…), cosa che per me, non essendo amante del genere, mi avrebbe tenuto alla larg(hissim)a, e come me presumo ce ne siano molti altri…

D’altro canto coloro che restano invariabilmente legati solo al metal, non hanno gradito la “sterzata” degli ultimi anni. Recentemente mi è capitato di leggere dei deliranti commenti che, tra le altre cose, davano la colpa a SW…boh!? se non erro ha supervisionato We're Here Because We're Here, quindi quando l’”intollerabile (solo per loro) cambiamento” era (per fortuna) già in atto…

L'ultima considerazione è sull'uso dell'orchestra, storicamente un'operazione difficile e pericolosa che ha dato pochi risultati veramente lusinghieri; qui mi pare tutto sommato abbastanza ininfluente e limitata ad un fondale "tastieristico".