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R Recensione

9/10

Jacques Brel

J'Arrive

Jacques Brel disponeva di un vantaggio importante su buona parte degli chansonnier lui contemporanei (e non solo): era un melodista superbo, circondato da musicisti e arrangiatori sopraffini (François Rauber e Jouannest, entrambi forti di una preparazione jazz, ma anche il fisarmonicista virtuoso Azzola, come in questo “J'Arrive”).

Per questo i suoi lavori risultano a loro modo barocchi, apprezzabili anche da chi non capisca una parola di francese: le trame sono policromatiche, e colorano-valorizzano le superbe impennate melodico-emotive di Jacques come meglio non si potrebbe.

La vastità e complessità delle sue invenzioni e composizioni, che nulla toglie alla loro immediatezza, ha regalato all'opera di Jacques un respiro internazionale unico: forse solo Bob Dylan può contare su un numero di cover e di reinterpretazioni tanto numeroso e diffuso (l'Italia dei Gaber, Paoli, De André & C è la sua seconda patria, in tal senso, ma fra la Spagna, gli USA, la Gran Bretagna etc.. non si contano gli artisti che hanno tributato omaggi al Grand Jacques).

Naturalmente, la sua fantasia melodica (le composizioni sono tutte sue, questo va rimarcato) si è sposata con le sue lucidissime liriche. L'amica Juliette Greco ha recentemente fatto un viaggio in prima classe dentro la sconfinata immaginazione del canzoniere del belga e se ne è uscita con riflessioni lucidissime “Ho riletto Brel a freddo. Riletto, dal verbo leggere. Quel mascalzone! È spaventoso quello che dice. Di una logica, di una lucidità, di una sobrietà, di una messa a nudo, di una crudeltà! Ho capito perché lo amavo tanto. Curiosamente, Amsterdam è una delle canzoni più dolci: "Si aprono la patta dei pantaloni, tanto peggio, urrà!; l'odore di merluzzo si sente fin dentro le patate fritte", va bene; ma Ces gens-là, Le tango funèbre,è tutto abominevole! Ho ricavato uno strano piacere a leggere Brel. Sono arrivata alla conclusione che la mia forza era essere una donna. Lui è molto femminile a volte, nella crudeltà. In quanto donna, potevo regolare i conti, dire quello che lui non aveva detto, non aveva lasciato intendere. Qui siamo due, siamo lui e io, e il risultato per forza di cose è strano, inatteso".

Ecco, “J'Arrive” sublima la sua tenera crudeltà. Ma celebra anche il matrimonio forse più fastoso fra liriche, melodia, capacità interpretative (Jacques si dimena commosso, fomentato, ferito, forte di una presenza attoriale impareggiabile) e scrittura musicale. Gli arrangiamenti sono dinamici e vitali come forse mai in passato: i paesaggi orchestrali soffusi non mostrano manierismi né cedimenti, Brel e Rauber piegano il jazz, la tradizione classica, le canzoni popolari al proprio volere, plasmano senza fatica la materia prima a loro disposizione.

Eccomi dunque dove volevo arrivare: a “Vesoul”, una melodia che decolla battuta dopo battuta, affrettata e accorata, con lo stacco sublime di “Comme Toujours”, e la fisarmonica che trasforma il tango in una festa di colori e timbriche diverse.

Regarde bien petit” è un'altra ballata raffinata, forte di un arrangiamento orchestrale a più voci che ne valorizza la potenza drammatica. Come al solito, non si trova un brano che non sia una pugnalata al cuore neanche a cercarlo col binocolo: l'introduttiva “J'Arrive”, circondata da archi taglienti e ansiosi, è solo una fra le tante gemme. Anche qui, Brel si mette dentro i personaggi, eleva la quotidianità al livello di una rivelazione, diventa la canzone, il suo imperiale trascinarsi verso una pluralità di voci e di colori che cresce battuta dopo battuta.

Le canzoni che accelerano il passo, magari adottando un ritmo da marcia paesana (“La biére”), sono forse le più crudeli: la birra (metafora della cassa da morto) diventa un rituale sociale, da Londra a Berlino, da Parigi ad Amsterdam. E i bevitori si muovono verso la kermesse dell'alcool come se andassero a messa la domenica mattina, e i giorni sono già morti, e gli amori muoiono di freddo. Jacques sembra divertito (anche se naturalmente sta denunciando) da una forma di svago tanto rigida (i bevitori che sembrano un reggimento) e turpe, che acceca e rende inevitabilmente schiavi.

Il tema del viaggio domina il disco: se già “Vesoul” sembra alludere alla perenne insoddisfazione della protagonista-viaggiatrice (che ama ogni luogo e poi lo abbandona repentinamente), anche “La Chanson de Van Horst” racconta di viaggi continui e instancabili (una fuga perenne destinata a non trovare mai pace, naturalmente).

Il brano spicca ancora una volta anche per il superbo volteggiare degli arrangiamenti, che crescono di intensità e tono in un parossismo che è sempre una delle carte vincenti di Brel (basti ricordare il meraviglioso valzer a mille tempi, uno fra i suoi capolavori immortali).

J'Arrive”, che vede la luce nel pieno dei fermenti sessantottini, è spietato (come di consueto) nei confronti della società perbenista e “borghese” che lo circonda, ma evita di prendere posizione in modo chiaro in favore della rivoluzione, forse perché ne coglie subito la debolezza strutturale, intravede il rischio di creare un conformismo a contrario opprimente e stupido tanto quanto la società “bene” cui vorrebbe togliere le fondamenta.

La potenza espressiva dell'album è in ogni caso impressionante, così come la qualità di ogni singolo brano: nel 1968 il Grand Jacques sembra al culmine delle proprie doti di paroliere e di autore, e Rauber dirige l'orchestra in modo impressionista, delicato.

Il belga (giunto al decimo lavoro) è a un passo dall'addio al mondo della musica (farà ritorno poco prima di morire, pubblicando il suo capolavoro immortale), eppure è in piena forma. Concludo: disco che può prenderti il cuore in mano per non mollarlo mai più, uno fra i lasciti più importanti del massimo cantautore di sempre.

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Voto degli utenti: 7/10 in media su 2 voti.
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C Commenti

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FrancescoB, autore, alle 10:45 del 22 settembre 2015 ha scritto:

Paolo sei un buongustaio per davvero, anche tu apprezzi un po' sempre il sommo Jacques, a quanto vedo

Paolo Nuzzi (ha votato 9 questo disco) alle 12:00 del 22 settembre 2015 ha scritto:

Grazie Francesco caro. Il sommo Jacques è uno dei miei fari musicali. A casa ho un box di dieci cd pagato a culo 5 euro su una bancarella, ma credo non sia integrale, devo controllare. Ogni tanto lo ascolto e mi perdo. Un genio assoluto, che ha avuto un'influenza trasversale come pochi artisti nella popular music. Io non saprei scriverne, troppo difficile, è uno dei rari esempi in cui musica e vita si fondono indissolubilmente. Complimenti vivissimi, sei un'eccellenza.

FrancescoB, autore, alle 12:39 del 22 settembre 2015 ha scritto:

Hai ragione, discografia sterminata e spaventosa: a naso, dico che almeno "Brel 1977", "Ce gens-là", questo, altri 2-3 lavori degli anni '60 (su tutti il n. 4 credo) sono nell'Olimpo della canzone d'autore, come lui solo Nello forse, in tal senso.