Tindersticks
The Hungry Saw
Notte alta. Tenebre fumanti. La luna è un unghia smaltata nel cielo, un occhio di gatto che ammicca riflettendosi nelle polle d’acqua che t’insudiciano le scarpe. Vorresti dimenticarti, si che lo vuoi, vorresti dimenticarti ma non ti ricordi più bene di cosa. Scalciando sassi finché l’ umore è ancora morbido di liquore. Finché c’è un locale ancora aperto, avrai sempre un posto dove andare.
Per il giubilo di tutti i nottambuli che si crogiolano nel loro spleen insonne, torna la ghenga più blasé, cosmopolita e scarsamente remunerata del brit pop anni ’90. Quelli che, auspice Scott Walker, preferivano Aznavour, Cohen o il Sinatra di In The Small Wee Hour, ai fasti della melodia albionica. La Swinging London dei gemelli Kray a quella dei Beatles. Loro e il loro sound jazzato, barocco, orchestrale, noir, romantico, metafisico, fumoso, commosso. Loro, o quel che ne resta. Con il minimo storico di membri fondatori (Staples, Boulter e Fraser) e privi del genio Hinchcliffe negli arrangiamenti, i Tindersticks confezionano il loro settimo album in studio (colonne sonore escluse).
The Hungry Saw è un come back più che dignitoso che passa il controllo qualità in virtù della virtuosa eleganza del suo approccio melodico, di un’essenzialità quasi spartana se paragonata al passato più recente, di una dieta espressiva che si traduce in un pugno di belle canzoni col piano e la voce in evidenza, poche asperità di chitarra, violini d’ordinanza e sparuti ma azzeccati contrappunti di legni e ottoni. Nel loro stile più classico invecchiato bene e lasciato decantare.
Un song-book in cui brillano il soul-noir di Yesteday Tomorrows, il jazz barocco e confidenziale di The Other Side Of The World, Mother Dear col bordone d’organo incrinato a braccio dai noisy chitarristici, come nel primo insuperabile album, e l’orchestra, in sordina, che entra in scena solo per il gran finale, l’elegia call and response alla Nick Cave di Boobar, e il capolavoro cripto-morriconiano di All The Love, brano che vale da solo il prezzo di copertina.
Non sfigura la piangente e pianistica Feel The Sun, il gospel da camera della title track ne l’arpeggio madrigalesco Flicker Of The Girl. Il resto è solo routine strumentale.
Ma la classe non è acqua.
Tweet