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R Recensione

7,5/10

Allysen Callery

Ghost Folk

Allysen Callery, prima di diventare (autodidatta) musicista, è stata poetessa. Lo riconosciamo chiaramente nei testi di questo caldo e delicato Ghost Folk, ultimo lavoro di una musicista che è stata paragonata alla più viva storia del folk anglofono, ad artiste come Vashti Bunyan o la grande Sandy Denny, che, piccolo aneddoto, se ricorderete fu l’unica a duettare con Robert Plant (in Led Zeppelin IV). Strano tuttavia che, quando si tratta di illustrare la genealogia di una musicista, si debba sempre e per forza fare riferimento a nomi femminili e mai a nomi maschili, come se di fatto esistessero i generi nella musica: si vede anche altro, nella storia che porta ad artisti come Allysen, da Tom Paxton a, certo, Nick Drake. L’atmosfera notturna, illuminata dalla bachelardiana fiamma di una candela tenuta in mano da Allysen nel medaglione che fa da copertina dell’album, richiama un mondo (letteralmente) evocato, spettrale, che pensiamo essere naturalmente quello meditativo del pensiero, del ricordo e del futuro anteriore.

Ma Beautiful teeth ci invita a non chiuderci tra le stanze chiuse di una casa visitata, perché i denti sono, almeno nella metafora, denti di lupo e di conigli in fuga; il collo di chi si invita a farsi vicino e luce riflessa sull’acqua. La malinconica chitarra, che è quella piuttosto classica di quel folk in grado di farci sentire trasparenti, come sdraiati sulla superficie tiepida del mare (qui presente in Sea change, “da Nettuno alla spiaggia”), ovattati, viene accompagnata in I can’t see you (il non vedere, gioco prediletto dai fantasmi) da leggerissimi trilli elettrici che fanno da impercettibile fondale. Così anche nella bella, oracolare Tarot card, uno dei pezzi più riusciti dell’album (per esempio vocalmente: la voce di Allysen sembra tramutarsi, di tanto in tanto, in uno strumento a fiato). Interessante il cambio di tono di Fair warning, con una chitarra dal respiro quasi ispanico, con la voce sussurrata, soffiata, e quello di In your perfumed chambers, brano del tutto strumentale, dalle armonie ipnotiche, fiabesche, arabeggianti, avvolte da fumo di incenso (le corde rischiano, talvolta, di far perdere giocosamente la tonalità), laddove il tono riacquista una certa tradizionalità nella seconda parte dell’album (per esempio nella degna di nota Elemental child).

Uno degli album folk più belli del 2020, certo, la cui delicatezza, i cui silenzi, la cui quiete, rotta da pochi, meditati elementi, sono capaci di molta evocazione. E molta suggestione.

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