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R Recensione

6/10

Áine O'Dwyer

Anything Bright or Startling?

Un’altra tessitrice di trame tenui affida alla Second Language il raffinato disegno del suo nuovo ricamo. L’arpista (polistrumentista e cantante) irlandese che già ha collaborato con Mark Fry, United Bible Studies, Piano Magic, The A. Lords e Richard Moult, mette a punto con il nuovo album un arazzo sonoro composto da quattro lunghe suite, quasi integralmente basate sui suoi accordi, sulla sua voce: i riverberi e i silenzi fanno parte integrante dello stesso tessuto emozionale e contribuiscono a trasportare l’ascoltatore in uno stato di sospensione sensoriale che potrebbe appartenere tanto ad una peregrinazione onirica, quanto ad una fiaba ancestrale. E’ dunque una estasi rigorosamente acustica quella che impregna i colori delle composizioni. L’aura “celtica” che si respira in realtà non sospinge esclusivamente verso un passato pastorale, ma è capace di evocare territori contemporanei anche tramite sperimentazioni armoniche e “field recordings”. “Anything Bright or Startling?” non evoca soltanto una “pace bucolica”, ma trasuda anche una inquieta introspezione che di certo richiede il dono del tempo da parte di chi ad essa si accosta e che poco si concilia con i ritmi frenetici delle metropoli e degli ascolti in auto o in metro. Basterebbe partire da quella magia arcaica di cui è portatrice l’accoppiata Boatwoman/Hyperbolia: un magnetismo poetico che trascende appartenenze temporali. E’ indubbiamente una musica “altra” quella di cui vuole farsi portavoce Áine O'Dwyer, con l'uso di una vocalità poco pacificante, che fuggevolmente rammenta le geniali intemperanze di Dagmar Krause (vocalist in band avant-rock del calibro di Henry Cow, Art Bears e Slapp Happy),  le pieghe più riflessive della Bjork di “Vespertine”, nonché le incursioni nel mondo spirituale di Kate Bush, muovendosi sensualmente fra la sacralità dei luoghi da cui trae ispirazione e il sacrilegio sonoro ricercato attraverso note ben sopra le righe. Solenne e intima, ostentata e segreta, melodiosa e imperscrutabile: la musica della O’Dwyer non ama rivelarsi in modo univoco e anche quando insegue una urgenza espressiva, sa porre in atto stratagemmi che hanno il sapore di “manovre evasive”, ma che invece intendono rendere più desiderato il "fiero pasto". Ho questa immagine di una femmina di ragno che con apparente delicatezza tesse la sua rete, non solo per preparare la trappola che irretirà la sua preda, ma anche compiacendosi della fine architettura del suo ordito. E anche se la vittima di certo, nel capitolare, non avrà modo di apprezzare l’arte con la quale sono stati tesi i fili che ora lo stanno per trasformare in cibo, sembra che nella coniugazione fra ricerca estetica e fame insaziabile si nasconda e si riveli il senso di questa armonia fra opposti. Non a caso per la maestosa chiusura dell’album, in fondo a Silent O Moley / Truant Crier, viene lasciata in disparte l’arpa e prediligendo – a sorpresa – l’imponente regalità dell’organo.

Ricerca delle radici, individuazione dell’essenza, reinvenzione dell’identità: la tradizione non è mai stata materia “stabile”, data una volta per tutte. Esiste in virtù delle sue metamorfosi. La musica di Áine O'Dwyer dimostra che quel concetto di “novità della tradizione” è, nel contempo, cosa antica e modernissima.

(L’acquisto sul sito della Second Language garantisce, in via esclusiva, un EP con una ulteriore lunga composizione, Safely Adrift, che rivela scenari – organo, pianoforte e coro tratteggiano panorami di irrequieta bellezza – talvolta persino più ammalianti di quelli descritti nell’album, travalicando i confini del cantautorato folklorico di cui la O’Dwyer è autrice e ricamatrice)

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