R Recensione

8/10

Richard Youngs

Beyond The Valley Of Ultrahits

Per chi non avesse familiarità col lavoro del musicista domiciliato a Glasgow, è bene chiarire fin d’ora che quest’uomo tutto può. Badate, non sto scherzando né scrivendo sotto acido: quest’uomo tutto può. Qualche definizione tanto per inquadrare (possibile?) il personaggio: “il rinvigorente del free-rock” (The Wire), “il miglior erede del rock in opposition, di Canterbury, del folk progressivo”, (Blow Up), “gran cerimoniere dell’improv britannica contemporanea (…); ambasciatore di guerra e pace, amore e angoscia” (NME). Soddisfatti? No? Allora sappiate che ‘sto tizio son quasi due decenni che delizia le platee underground con un suono capace di spaziare dal folk anglosassone alla drone music, dal minimalismo all’avant rock, dalla musique concrète al cantautorato e adesso anche al (synth) pop.

Verrebbe da definirlo “musicista totale” se il termine non fosse così old-style, inflazionato, e per lo più corrotto da un approccio alla “sono cool e faccio tutto distrattamente” da cui il pubblico più sveglio ha ormai imparato a diffidare. Youngs fa tutto emotivamente, invece, seguendo un percorso che potrebbe definirsi delle tre “i” (Moratti, vade retro!): intuito, illuminazione, improvvisazione. I maligni ne aggiungerebbero una quarta, “iper-prolificità”, in ragione della discografia sterminata e sterminante del Nostro (oltre cinquanta gli album pubblicati, e resto sul vago perché avrò senz’altro perso numerosi cd-r per strada). Vero, ma dimenticano che il bardo britannico ha dalla sua un rapporto qualità-quantità che straccia chiunque nel settore “avant & affini”: quattro opere imprescindibili più altre sei/sette poco men che bellissime. Ce n’è abbastanza per mettere a tacere qualsiasi linguaccia. Soprattutto, ce n'è abbastanza per "vivere" una musica vibrante d’infinità (immemore) umanità, che spesso commuove per grazia melodica e senso di “costruzione”.

Fin da subito annunciato come il disco “pop” di Youngs, “Beyond The Valley Of Ultrahits” sconvolge e commuove (di nuovo…) per quel suo riaffermare, nell’apparente diversità, l’unicità dello sguardo. Un disco che nella sua compostezza/fluidità melodica appare comunque sghembo, asimmetrico, con synth e tastiere analogiche a tessere suoni alieni ma caldi, drum machine paonazze (“The Valley In Flight” riporta alla mente addirittura i Silver Apples), qualche infiltrazione di feedback chitarristici in odor d’atonalità. E poi la voce, gente, la voce. Quella voce divina e imperfetta (o divinamente imperfetta, come poteva esserlo quella del guru Robert Wyatt), impastata di folk, registrata in multitraccia per costituire gomitoli di melodie (la solare “Oh Reality”), mantra celesti (il controcanto di “Collapsing Stars”), polifonie gregoriane sorte chissà come da un angolo della discoteca (“Love In The Great Outdoors” e il suo beat house che procede a singhiozzo). Voce che resta, mi si perdoni l’ovvietà, fra i più smaglianti lasciti dell’ultimo ventennio. E ho detto tutto.

Un senso di inquieta ma raggiante armonia cosmica abbraccia tutto l’album, irradiando di luce benigna episodi come l’acustica “Summer Void” (un omaggio a Skip Spence?) o gli struggenti poemi “Like A Sailor” e “Radio Innocence”, dove la grazia aerea di un Peter Gabriel sembra sposarsi al Brian Eno di “Taking Tiger Mountain By Strategy”. Ma si tratta di riferimenti da prendere con le molle, giacchè la lingua parlata è, ancora una volta, soltanto di Youngs. E ben venga la conclusiva “Sun Points At The World” a lasciarci con un gusto acidognolo in bocca, fra gemiti astrali e quella linea di batteria così pigra e scoordinata: sublime attimo di smarrimento, parimenti incapace d’intaccare una poetica fatta di concetti semplici, che celebra l’attrattiva degli elementi naturali, il pulsare del cosmo nel nostro organismo.

Un mondo a misura d’uomo, quello di Richard Youngs. Un mondo umile, dimesso, e per questo straordinario. Un mondo in cui “less is more”, dove non serve trincerarsi dietro l’inintelligibilità per stupire orecchie e cuori. Accade così che il lavoro più accessibile dell'artista sia anche uno dei suoi capolavori, degno di figurare accanto a pietre miliari come l’esordio “Advent” (1990), “Sapphie” (1998, uno dei dischi fondamentali della decade) e la portentosa scultura di overdub a nome “The Naive Shaman” (2005). Ribadisco: quest’uomo tutto può. A noi comuni mortali è dato solo di riconoscerne e invidiarne – bonariamente, s’intende – il talento.

LINK:

MySpace: http://www.myspace.com/richardyoungsmusic

VIDEO:

- "Soon It Will Be Fire" (da "Sapphie") live in Cesena: http://www.youtube.com/watch?v=-ctXkQnrx5U&feature=related

V Voti

Voto degli utenti: 7,1/10 in media su 9 voti.
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target 8/10
Cas 8/10
REBBY 7/10

C Commenti

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REBBY (ha votato 7 questo disco) alle 9:07 del primo ottobre 2009 ha scritto:

Mi hai convinto, lo compro (eheh). Rece splendida,

come al solito.

target (ha votato 8 questo disco) alle 10:54 del primo ottobre 2009 ha scritto:

Bellissimo e inusuale disco pop. La 'grazia aerea' di "Summer void" (un pezzo 'da radio' che certa gente cerca, senza raggiungerlo, per una carriera intera), "Radio Innocents" e "Like a sailor" sono i miei preferiti, ma anche il taglio più cosmico e inquieto di "A storm of light...". Tutto il disco, comunque, vive in uno spazio compatto, che ha qualcosa di accidioso e di snervato, 'alieno ma caldo', come dici tu, perché all'asetticità di certi suoni viene data sensibilità, quasi per un prodigio (e conterà sicuramente la voce di Youngs). Grande Los.

loson, autore, alle 11:52 del primo ottobre 2009 ha scritto:

Contentissimo che il disco ti sia piaciuto, brother Target. X REBBY: grazie dei complimenti, caro. Purtroppo quest'album ti sarà un pò difficile "comprarlo", perchè è stato pubblicato come cd-r in edizione limitata a 100 copie, a cui sono seguite altre 100 copie per soddisfare la richiesta. Non so se siano in progetto altre stampe, per il momento. Una, anzi due cose sono certe: 1) il disco puoi "procurartelo" in altri modi, e te lo consiglio vivamente perchè sono sicuro che ti garberebbe assai; 2) Youngs è un fottuto masochista, perchè un cd del genere pubblicato su Jagjaguwar (l'etichetta con cui dà alle stampe il suo materiale meno "ostico") avrebbe fatto il botto nel mondo indie, ne sono sicuro.

ozzy(d) (ha votato 7 questo disco) alle 10:33 del 2 ottobre 2009 ha scritto:

Disco gradevolissimo e frizzante, Youngs si conferma una macchina da guerra qualitativa come pochi.

Dr.Paul (ha votato 6 questo disco) alle 21:55 del 4 ottobre 2009 ha scritto:

eh naive shaman mi era piaciuto parecchio, questo appena ho tempo...

REBBY (ha votato 7 questo disco) alle 8:13 del 5 ottobre 2009 ha scritto:

Caro Los avevi ragione (eheh), alla Feltrinelli

non c'era ed ho comprato a 4,90 The art of failing apart dei Soft Cell (l'avevo registrato

in cassetta, ma oramai...), fa lo stesso? Il grave

è che, per il momento non l'ho trovato neanche sul

web. A volte mi vien da pensare che un disco meno

lo ascoltano gli altri (più è "carbonaro") e più

è bello. Magari a Youngs interessa più la gloria che la grana (poi con le vendite dei CD non è che sia così facile fare soldi).

loson, autore, alle 12:35 del 5 ottobre 2009 ha scritto:

RE:

"Magari a Youngs interessa più la gloria che la grana (poi con le vendite dei CD non è che sia così facile fare soldi)" ---> Assolutamente. Quando parlavo di "botto" mi riferivo soltanto alla possibilità di entrare nelle grazie di un pubblico più ampio, non certo di pensare al soldo (fermo restando che Youngs, come centinaia di artisti underground, ha come bacino d'utenza prediletto una ristretta cerchia di appassionati che i dischi ancora li compra). "Beyond The Valley Of Ultrahits" poteva, insomma, diventare il classico specchietto per le allodole, invogliare una fetta di pubblico - ovviamente non quello di Gigi D'Alessio nè quello di Lily Allen - ad avvicinarsi all'artista. E invece il risultato qual'è? Che 'sto disco è pressochè introvabile (però occhio: sul web ce stà ;D), che quasi nessuna webzine lo ha recensito e, di conseguenza, è passato in sordina quasi dovunque. Da un certo punto di vista tutta questa oscurità accresce il fascino dell'opera, dall'altro continua a lasciarmi con un pò d'amaro in bocca, lo confesso.

fabfabfab (ha votato 7 questo disco) alle 10:52 del 5 ottobre 2009 ha scritto:

Questo è definitivamente l'anno del "less is more". Sottraendo tutto il possibile, rimane solo una voce nuda e delle melodie lineari ed essenziali, supportate (come giustamente nota Los) da ritmiche e suoni che generano un senso di tensione e scomposta asimmetricità. Il mio disco asociale dell'anno.

DonJunio (ha votato 8 questo disco) alle 11:26 del 5 ottobre 2009 ha scritto:

Un gioiellino.

REBBY (ha votato 7 questo disco) alle 15:51 del 5 ottobre 2009 ha scritto:

mmmmmmmh, muoio sempre più dalla voglia di

ascoltarlo .... D'accordo su tutto Los.

Giubbo alle 12:20 del 6 ottobre 2009 ha scritto:

qualcuno ha ascoltato il suo nuovo album ufficiale su Jagjaguwar dal titolo "Under a stellar Stream"? si parla di nuovo stile nell'uso della voce. deve essere molto interessante.

target (ha votato 8 questo disco) alle 12:25 del 6 ottobre 2009 ha scritto:

Non ancora ascoltato, no. Seguire i suoi ritmi è un lavoro! Mi è piaciuto il commento di fabio: asociale rende l'idea, per questo disco. Ha qualcosa di disadattato, ma come addolcito dalla morfina.

Dr.Paul (ha votato 6 questo disco) alle 14:35 del 21 ottobre 2009 ha scritto:

eh carino, forse in youngs cerco altro...non so, sufficiente!

REBBY (ha votato 7 questo disco) alle 10:51 del 5 novembre 2009 ha scritto:

Synt wave low cost fatta con perizia artigianale.

Alcuni pezzi veramente notevoli. Grazie a Matteo,

ma anche a Francesco (eheh)

REBBY (ha votato 7 questo disco) alle 9:23 del 3 agosto 2010 ha scritto:

Come auspicato dal Los nel primo intervento qua

sotto, la Jagjaguwar l'ha appena pubblicato

(edizione 2010 eheh), almeno in vinile.