Jenny Jenkins
Oventoucher
Ogni tot di anni, ma ad intervalli imprevedibili ed irregolari, da Olympia Washington, come un pupazzo a carica dalla sua scatola colorata, salta fuori qualche rivelazione clamorosa, destinata, poi magari, ad affermarsi altrove. È successo prima coi Nirvana, poi con le Sleater Kinney, dopodiché con Mirah ed ora sembra proprio che sia venuto il turno di questa illustre (almeno nella scena cittadina) sconosciuta (per il resto del mondo) che si fa chiamare Jenny Jenkins. E come la protagonista dell’omonima filastrocca folk (una delle canzoni per bambini più incise e famose degli Stati Uniti) è capricciosa, testarda, sicura di sé e del proprio talento, ma al contempo poco propensa a prendersi sul serio, a farsi intrappolare nei luoghi comuni del cantautorato femminile “camera e cucina”. Non è una casalinga disperata, Jenny, ma una musicista completa, autodidatta e una scrittrice di testi bukovskiani, autoironici, senza peli sulla lingua, che farebbero arrossire la fanciullesca seriosità di molte sue colleghe e il femminismo pornografico di tante altre.
Le sue canzoni sono schegge d’insofferenza, dardi di umorismo perverso, aforismi di chi ha ben chiaro il potere taumaturgico di una risata sconcia e di una notte sbronza trascorsa accanto ad uno sconosciuto. Piccoli inni profani per voce (perplessa, sardonica, assonnata, caustica, mordace, famelica) ed ukulele (“La Ragazza con l’Ukulele”, potrebbe essere il titolo di un film da Sundance Festival), accompagnati qua e là da gocce di pianoforte, folate di violini, mulinelli di fiati.
Irresistibile nella progressione boccaccesca di spiazzanti dichiarazioni di (dis)amore e promiscuità come I Won’t Kiss You, Last Time o Wish You Were Here, pestifera nello swing da suffragetta di What Goes Around, nel folk trot di River o nel crescendo bandistico (cimbali, piatti, trombone, xylofono) di Arrow, improvvisamente indifesa nello spleen-jazz da camera di Bus Angel e Smoothie o nel languido duetto fra voce e sax che si scambiano avance dietro un malizioso velo di flauto e chitarra di Hey Babe.Anche se la sua vera natura – doppia, perversa, scostante eppure così accogliente, confidente perfino protettiva – traspare compiutamente in due pezzi come Darkness Like Sunshine e Sometimes I Sleep With Evil (“because evil turn’s me on” e la response del coro da vecchia America), fin dai titoli, piccoli grandi manifesti di una piccola grande artista.
Dispettosa come sanno esserlo solo le donne: il disco di cui si sentiva bisogno nel 2009 è uscito, invece, per pochi intimi, cinque da casa e cinque per caso, già nel 2008. Ma d’altronde, parafrasando Dolores Claiborne: qualche volta fare la stronza è l’unica chance che una donna ha per sopravvivere.
Datele una chance e vedrete che non ve ne pentirete. Garantisce Storia.
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