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R Recensione

7/10

Basia Bulat

Heart Of My Own

Cominciavamo quasi a temere di averla persa per strada. Invece, eccola qua: esattamente come ce la ricordavamo. Ed è un vero sollievo. Si, perché noi a Basia Bulat siamo molto affezionati. E lei sa come farsi volere bene. Oltre all’empatia ci lega una coincidenza. Tre anni fa, il nostro primo incontro quando entrambi muovevamo i primi passi: lei col delizioso esordio Oh My Darling e SdM al suo primo anno d’attività. Fummo tra i primi ad occuparci di lei e lei (o chi per lei) pubblicò la nostra recensione (l’unica in italiano) sul suo sito web. Sinceramente stupiti e riconoscenti gli uni all’altra.

Ora, tre anni dopo, molte cose sono cambiate. Ma non lo spirito che ci anima. Lei, soprattutto. Non è diventata la nuova Alanis Morrissette come (non) le auguravamo a fine recensione. Ma ha fatto esperienza. Ha lasciato il Canada, ha girato il mondo, un paio di grandi case automobilistiche hanno usato i suoi pezzi nei loro spot (un “privilegio” toccato, prima a di lei, a gente come Leonard Cohen, Nick Drake e Vashti Bunyan, Cat Power, mica cavoli), nella convinzione che un bel brano folk per sola chitarra e voce aiuti a vendere meglio le berline. Il che fa abbastanza ridere se pensiamo che la musica di Basia sembra - parafrasando De Gregori - una cosa d’altri tempi, di prima del motore, una colonna sonora più adatta per calessi e cavalli. Ma i tizi della pubblicità, posto che nel frattempo non siano stati licenziati, sanno evidentemente quello che fanno.

E comunque stiamo divagando. C’è un disco nuovo, il rischiosissimo sophomore, da recensire. Per cui mettiamo da parte sentimentalismi e ricordi e cerchiamo di essere obiettivi. Anzi: soggettivi, come sempre. Heart Of My Own conferma la Bulat cantautrice della più bell’acqua sul versante tradizionalista del folk canadese. Non è musica per intellettuali alla ricerca di contaminazioni pindariche, la sua. Poco a che vedere con i solisti della Broken Scene Society, tantomeno col giro Constellation/ Goodspeed You Black Emperor e derivati. Al massimo può ricordare, un po’ alla lontana, gli Arcade Fire per certe progressioni bandistiche, certi intermezzi corali, o anche solo per il fatto che il produttore è Howard Bilerman, l’uomo dietro le pelli di Funeral, quello che “scoprì” il gruppo di Butler. Però qui è tutto più intimo, diaristico, laico e femminino. Questa semplicità dell’impianto stilistico, questa naiveté da ragazzina di fine ottocento rappresentano il limite maggiore e al tempo stesso la forza innata di questa piccola-grande cantante. Oltre al fatto, mai trascurabile, di saper intagliare melodie che scorrono limpide e sorgive attraverso pregevoli arrangiamenti artigianali, sbozzati da un fervido antiquariato strumentale (autoharp, ukulele, dulcimer, piano e organetto).

È dunque un’euforia un po’ infantile e regressiva quello che si prova sulle note di brani come Go On pop filarmonico di campagna sospinto al galoppo, come la progressione squillante e piena della voce in Goldrush, striata di cori da focolare, nella commovente serenata honky-tonk della title track, o nell’arioso valzer di Run, con la batteria ossuta e puntuale del fratello Bobby, i sonagli e il pattern fra archi e auto-harp.

E se qua e là il talento e la buona volontà non bastano a variare lo schema compositivo, la grazia di sonetti acustici come Sugar And Spice e Sparrow ci trattengono dal chiederle quel “qualcosa in più” che sarebbe un po’ come snaturarne l’incanto affabulatorio e fiabesco (non tutte nascono Joanna Newsom, purtroppo o per fortuna).

Anche se, avendo la pazienza di cercarla, la vera perla si nasconde nella bonus track dell’edizione i-tunes: Hush gospel a cappella per sola voce e battimani che quasi ti sembra davvero che qualcuno abbia esaudito le tue preghiere.

Aldilà delle preferenze personali, Basia Bulat conferma le buone impressioni dell’esordio ed aggiunge quel pizzico d’esperienza in più che non guasta. Non sarà molto ma a noi piace anche così.

V Voti

Voto degli utenti: 6/10 in media su 3 voti.
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target 7/10
REBBY 5/10

C Commenti

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target (ha votato 7 questo disco) alle 15:06 del 25 febbraio 2010 ha scritto:

Folk festoso e bello pieno ("If only you", con quei fiati e il ritmo trascinante, sembra uscire da un disco degli Okkervil River più recenti), solido anche nei pezzi più dimessi. Mentre alcune colleghe col secondo disco si sono un po' spente, lei è esplosa. La copertina è bella, ma non c'entra una cippa con l'umore del disco! Bella Simò.

REBBY (ha votato 5 questo disco) alle 10:07 del 22 marzo 2010 ha scritto:

Le ho voluto bene anch'io ai tempi del disco

precedente. Questo però è davvero ordinario.