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R Recensione

7/10

M. Ward

A Wasteland Companion

Invidio un paio di cosucce al signor M.Ward: l’indiscusso talento di speleologo alt-country e l’amicizia glamour con attrici canterine. Chiamatelo fesso. Sempre abbracciato a una sei corde, con le sue camicie a quadri, la silhouette vagamente battistiana e il ricciolo sporgente modello reading beat sulla Quinta Strada. Un Sal Mineo cresciuto a pane, Hank Williams e vinili Chess, che ti sussurra nell’orecchio “Watch The Show” mentre il plettro scivoloso dissolve fragranze tex-mex su spirali Calexico. E lo spettacolo? Guardati intorno, solo sterpaglia in un orizzonte depresso, è la crisi amico. Diciamo che in tempi di spread e vacche magre esistenziali l’unione aiuta a sopravvivere. L’atteggiamento fa la differenza. Lo sa bene M.Ward, tornato single (?) nell’ottava tacca solista di “A Wasteland Companion”, una dichiarazione di fede incrollabile nella musica, sì quella compagna benedetta che non tradisce e cura i malanni dell’animo. Riesce a pochi tenere un piede ben piantato nel presente anche se la tua idea di rock sedimenta sulla soglia del carcere di Folsom nel gennaio Sessantotto, “hello, i’m Johnny Cash” e canto canzoni. Il mite Matthew Stephen Ward ha l’atteggiamento e l’umiltà del maratoneta folk, non è il tipo che ama perdersi in inutili esposizioni oleografiche ma bada al sodo, mira alla polpa primigenia della sorgente musicale. Scrivere, collaborare, incidere rappresenta una condizione dello spirito inestricabile dalla vita stessa perché lui è un vero good old boy e i good old boys, quando non li fate incazzare, non sbagliano mai serata, non sprecano mai una nota. Basterebbe elencare l’ineccepibile curriculum dal ’99 del debutto “Duet For Guitars #2” e il fortunato ménage a due con l’attrice-cantante-modella-indie Zooey Deschanel nel pop frizzantino She & Him. Simpatico il caso del nostro eroe, anni a timbrare il cartellino di rispettato musicista alt-folk nei più diversificati progetti, dalla cricca Monsters Of Folk al devoto Conor Oberst dei Bright Eyes, per poi ritrovarti in un nanosecondo nella top ten e da Letterman, a suonare con i Ray Ban neri sulle ballate bubblegum della spezzacuori Deschanel. Strano a dirsi, anzi no, la ragazza è brava davvero, possiede un talentino mica male in un universo parallelo di attori cantanti cani, e i novelli Mamas & Papas 2.0 fanno graziosa coolness aggiornando il verbo girl-group di Phil Spector al click su youtube. Nel contesto dei loro due volumi e capitolo natalizio scommetto che Ward si sarà divertito un mondo a recitare la parte dello sparring-partner discreto e muto, imperturbabile come un impiegato assicurativo il martedì pomeriggio, a lui la totale delega dei ricami strumentali di cui è goloso quanto un ciccione dentro Burger King, alla signorina Zooey testi da teenager in gonnella a fiori e palpitante romanticismo sixties. “A Wasteland Companion” ritorna alla foce dell'ispirazione e razionalizza in trentasei minuti scarsi tutta la natura ambivalente del cantautore di Portland, il folk-blues e lo scherzo pop d’annata, l’epopea sgranata Sun Records, il fingerpicking da cameretta e tinello con vista sul Greenwich Village, lo skiffle luccicante di brillantina e accordature Gretsch, fino agli amplificatori che addomesticano piccolo feedback Thurston Moore in rockabilly del ventunesimo secolo.

 

Ward è un fine esteta del suono folk-rock cristallizzato nel 1965 di “Mr. Tambourine Man”, lavora scrupoloso su timbriche e profondità in ben otto studi di registrazione fra New York e Bristol, con in testa il John Fahey di “The Transfiguration Of Blind Joe Death” e nel cuore il trasognato surrealismo Buffalo Springfield del brano omonimo. Un discendente diretto dell’umido Fred Neil di “Everybody’s Talkin”, in filigrana nel crepuscolare Nick Drake a tinte west coast “The First Time I Ran Away”, e dell’intimismo soul alla Simon & Garfunkel che sgorga cristallino all’attacco di “Clean Slate”, nemmeno tre minuti di cromatismi acustici con dedica al compianto Alex Chilton della “Ballad For El Goodo”, particolare che già giustifica lo scarto tra il songwriter di razza e i troppi divetti della porta girevole neo-folk. La dolce metà She & Him stavolta è un'amabile costante (con Susan Sanchez e Rachel Cox) nei cori e nel controcanto femminile, sfiziosamente relegati al piano-boogie di “Primitive Girl”, un po’ Dream Syndicate un po’ Wilco in pillole garage-pop, all’uptempo rock-blues “Me And My Shadow”, che distilla portamento Roy Orbison con polveri Gun Club, e al Daniel Johnston riconvertito Buddy Holly di “Sweetheart”. Onore al riformismo folk in technicolor di M.Ward, che qui trova ospiti il maestro Howe Gelb (Giant Sand) e il santone Dr. John, John Parish più il sonico Steve Shelley, un’illustre compagnia che filtra le sfumature roots di questo moderno mastro bottegaio attraverso una sensibilità “americana” e contemporanea. C’è ancora un credibile immaginario post-war là fuori, che lambisce l’oasi pacificata di “Pure Joy” lontano dal frastuono virtuale di quindici minuti warholiani e labbroni dopati. Lou Reed, in uno dei suoi rari momenti da chierichetto, paragonava il doo-wop alla musica degli angeli. A M.Ward piace citare Reed e il doo-wop. A noi piace il vecchio-nuovo catalogo musicale di “A Wasteland Companion” (e gli occhioni blu di Zooey). Ah, che dicevo alla prima riga? Brutta bestia l’invidia, maledizione.

     

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hiperwlt (ha votato 7 questo disco) alle 21:16 del 29 aprile 2012 ha scritto:

di mestiere, ma disco suonato e prodotto con cura certosina - alcune meraviglie: "primitive girl", "the first time i ran away", "pure joy" -, dal sound spettacolare. nulla d'aggiungere al bello scritto di Daniele!