V Video

R Recensione

7/10

The Elected

Bury Me In My Rings

Quando da adolescente sognavo di suonare in una band pop, c’era una cosa che mi ossessionava, convinto che fosse la chiave per sfondare in modo sicuro e definitivo: la melodia perfetta. Dopo le nostre sfigatissime sessioni di prova con fenderini disastrati e chitarre di sottomarche di sottomarche, io e il mio amico andavamo agli allenamenti di basket cercando di canticchiare le melodie più riuscite per ricordarcele, tra una treccia, un suicidio e la partitella finale. Non abbiamo sfondato, se non i maroni della vedova isterica accanto a casa e del mister, ma quella convinzione resta. Salda e incrollabile.

The Elected, da Los Angeles, pubblicavano 5 anni fa per la Sub Pop il loro secondo disco (“Sun, Sun, Sun”). Folk pop cameristico, tra radici americane, college radio e alt-country scanzonato, poco prima del momento d’oro del revival. Pronti al botto. Ma poi, il vuoto. Blake Sennett, il tuttofare della band, ci prova, ma le canzoni non gli vengono, non solo: si è rotto los cojones della musica («that doesn’t sound like something I want to do again»). Finché un amico produttore (Jason Cupp) lo chiama e lo incoraggia a registrare. Lui accetta svogliato, e i pezzi vengono, quasi da soli, la voglia torna, e arriva pure Mike Mogis a metterci le mani in fase di missaggio.

Aspettare cinque anni, se si stanno aspettando le melodie buone, è la cosa giusta da fare. “Bury Me In My Rings” è il disco più solido e diretto degli Elected, nella sua infilata di 12 brani senza riempitivi, tutti potenziali singoli allineati nelle consuete coordinate indie pop sponda folkish, tra gli ultimi Dr. Dog, Wilco, Vetiver, abbagli di Belle And Sebastian, col santino dell’idolo Elliott Smith accanto. Il lato meno weird e più poppy, meno barbuto e meno barboso, del folk pop recente. Delizie sulla voce delicata di Bennett (“Born To Love You”), leggermente ritoccate di elettronica (“Babyface”) e sempre sulle punte della sua Martin, con momenti mossi da trip in auto con gli amici (“Look At Me Now”, “Go For The Throat”, “When I’m Gone”) alternati ad altri stile M. Ward rusticano con leave of grass tra le labbra (“Jailbird”, “Who Are You”, “Trip Round The World”). Sui «du du du du du du» e le steel-guitar di “This Will Be Worth It”, infine, cade lo svaporamento romantico che sublima.

Aspettare cinque anni vuol dire anche, purtroppo, farsi dimenticare, con blog e zines ormai concentrati su altro, mentre la Sub Pop pubblica Washed Out. Ma tra degli anni, quando io e il mio amico suoneremo in una tribute band dei Dire Straits, ripescare gli Elected avrà ancora un suo onesto perché.

V Voti

Nessuno ha ancora votato questo disco. Fallo tu per primo!

C Commenti

C'è un commento. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

bill_carson alle 10:39 del 11 luglio 2011 ha scritto:

non li conoscevo...

caspita...le melodie son davvero deliziose