R Recensione

8/10

Amon Amarth

Twilight of the Thunder God

I legami sono sciolti. Terra e acqua non hanno confini e il Miðgarðsormr è libero di riemergere dal mare. È il Ragnarok che infuria, mica una qualsiasi favola della buonanotte. È lo scontro, la prova di forza, a cui gli Amon Amarth sono chiamati per dimostrare di meritare la fama conquistata nel tempo.

Partiti a suonare in locali con 50 persone, i vichinghi del nord sono oggi una delle realtà più affermate del metal. Col crescere del successo non mancano di trascinarsi dietro valanghe di polemiche. Noti anticristiani pagani - quindi niente 666 per stavolta, ma semplici concept di mitologia norrena – giungono nel 2008 con il loro settimo album, il primo che suonano come musicisti a tempo pieno. Fin dall’esordio discografico del 1998 non si sono fermati un secondo, cercando sempre di rinnovarsi (restando ovviamente ancorati al viking metal). Nel 2006 Whit Oden on our side fa storcere la bocca a molti affezionati e si fa più forte l’accusa di essere diventati un gruppo di venduti. C’è che il viking è di moda e tira le classifiche, mentre gli AA arrivano ad essere soprannominati i Manowar del genere (come se fosse un complimento), anche per la presenza scenica e lo spettacolo che imbandiscono.

Il gruppo definisce lo stato delle cose presenti come una band di matrice death metal che continuerà ad andare verso il metal tradizionale, senza precludersi – in un futuro più o meno prossimo – il cantato pulito.

Il growl si fa sempre più prevalente, relegando in secondo piano lo scream che tanto infesta i primi album del gruppo. I suoni sono più melodici e ruffiani e c’è sempre meno rudezza, ma il tutto scorre talmente liscio che non si può negarne la qualità.

L’edizione limitata, con illustrazioni di Lucio Parrillo patinate fra due fogli di velina, spiega quanta cura maniacale sia stata dedicata al prodotto (l’edizione deluxe comprende, per una cifra non modica, anche delle statuine dei componenti con testa mobile). La registrazione e l’artwork fanno da contropeso a una capacità tecnica che non viene meno nemmeno per un secondo. Ogni nota è dove deve essere, senza un ritardo o una forzatura.

È la maturità del gruppo, che quasi si scontra con la spontaneità del cd d’esordio (Once Sent from the Golden Hall), ritenuto da molti il loro capolavoro.

Se non siete avvezzi a barbe lunghe e tempeste apocalittiche allora è il disco giusto per farvi innamorare.

I testi non si smuovono dall’orgoglio nordico, ma ogni tanto uscire dall’interiorità non fa male. Tecnicismi e analisi delle canzoni è meglio delegarli ad altri, o si rischia di annoiare ed essere fuori luogo. Si tratta di un disco d’impatto, che lascia tramortiti a terra, con un sorriso di piacere sul volto. Twilight of the thunder god continua sulla linea del suo predecessore, ma alza il tiro e la qualità, incassando il contributo di ospiti illustri.

Gli Amon Amarth non si sono inventati nulla e non cambieranno la storia, ma non hanno mai avuto queste intenzioni.

Se avete voglia di divertirvi, sopportando il cantato growl (che rende spesso il death metal un genere di nicchia), avvicinatevi. Occhio ai serpenti giganti, non fatevi ammaliare dalle vichinghe e pronti a tornare nella realtà. È un glorioso circo, una magnifica macchina di spettacolo, e c’è da rimanerne senza fiato.

(Nota negativa: The Hero è il vero punto basso del disco, troppo ruffiana per essere giustificata con il “metal classico”)

V Voti

Voto degli utenti: 5,1/10 in media su 7 voti.
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krikka 5/10
B-B-B 5/10

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