Wild Beasts
Boy King
John Congleton: This album has to be a motherfucker!.
E se li ha portati in Texas, i Wild Beasts, sradicandoli idealmente da un art pop costruito con meticolosità scientifica in dieci anni di sviluppo estetico (tripletta di capolavori, 2009-2014: Two Dancers, Smother, Present Tense) del loro suono. In dodici giorni di registrazione li ha messi alle strette: contro certezze acquisite, contro un perfezionismo formale che è loro marchio (apice "Smother"), liberando un lato selvaggio intravisto per sound in "Present Tense" e in "Boy King" reso volgare, libero di agire e compiersi. Shock.
La materia sognante del passato, in Boy King, viene quivi insozzata di fascinazioni americane (artwork e video inclusi), resa trash e spavalda; e graffia la chitarra (scordandosi l'armonia e la pasta cristallina: Big Cat; Eat Your Heart Out Adonis), graffiano e scintillano i synth (mai così centrali) sotto la spinta cruda, apocalittica (2BU) e piena di tensione di un Hayden Thorpe da regressione narcisistico adolescenziale. I pezzi si destrutturano (2BU, He The Colossus), come nella seconda parte dellalbum; spesso è acida ("Ponytail") la spinta sexy (Get My Bang), con chitarre monolitiche (He The Colossus) e arroganti (lassolo distorto di Tough Guy; dal sapore metallico in Alpha Female) ad amplificarne il moto.
Diventa, il nuovo disco, di un art pop orale, insaziabile, direi, nel suo manifestarsi electro sessualizzato, in posa maschia e virile; ma resta, genetica, la sensibilità femminile, sublimata in tirate celestiali ("Celestial Creatures", brano di confine tra nuovi e i vecchi Wild Beasts), certe rese disforico apocalittiche (Dreamliner: keep the peace or fight the most gorgeous of wars), ma anche di femminismo dominante (Alpha Female).
Ed è un album, Boy King, che - fintamente - si trascura (i venti minuti embrionali di Boy King Trash, i quali mostrano il processo creativo dietro l'album), suda, stride, rinnegando la cristallinità e la misura dei vecchi dischi; ma che nasconde in sé alchimie superiori (la coda di "2BU"; il groove di "Celestial Creatures") di una scrittura sofisticata e corrosiva allo stesso tempo (He The Colossus). Il tiro a volte è danceable ("Get My Bang") senza essere addomesticato; altre grezzo e indisciplinato ("Eat Your Heart Adonis"), non per questo grossolano. I ritmi sono alti e serrati: Talbot non va più di tom, si linearizza, irrobustisce le simmetrie e detta la linea; Ben Little rifinisce ovunque, sporca di tastiere e rumorismi ovunque; Tom Fleming e la meraviglia del suo baritono (l'apocalisse di 2BU) assecondano il protagonismo nichilista ed espressivo di Hayden Thorpe.
LEs esibito negli scorsi dischi, e spesso controbilanciato da un rigore compositivo superiore, in "Boy King" sembra esprimersi ribelle, selvaggio e noise davvero. Ed è una fattore che significa rottura con gli schemi estetici del passato; che la linfa dei Wild Beasts è, ad oggi, ancora inesauribile.
Ne esce un lavoro edonista, anche disperato: in cui bellezza e lato oscuro coesistono. Ne esce un lavoro egoista (bastardo, à la Congleton): proprio come i tempi che viviamo.
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