Tinariwen
Tassili
La defezione di Abdallah “Catastrophe”, prossimo all’esordio solista (avremo un nuovo Bombino?) non era una buona notizia, ma il thè nel deserto offerto da Ibrahim Ag Alhabib a quei due ragazzotti dei TV On The Radio e documentato da questo video, faceva presagire il peggio. “Il peggio”, tradotto dagli schemi di pensiero dell’”integralista musicale”, poteva essere il definitivo confluire (suggerito dal progetto Dirtmusic dell’anno scorso) del desert blues incendiario di “Amassakoul” in un rock acustico “etnic-chic” addomesticato ai voleri omologanti dei padiglioni auricolari occidentali.
Invece non solo Tunde Adebimpe & Kyp Malone riescono ad integrarsi tra gli uomini del deserto senza fare danni (“Tenere Taqquim Tossam”), ma anche gli altri ospiti yankee (Nels Cline e The Dirty Dozen Brass Band) forniscono apporti misurati e gradevoli. Il primo arricchisce con un “drone-loop” di sottofondo (registrato a Chicago) gli intrecci creati in tempo dispari dalle chitarre di Ag Alhabib, Ag Lamida e soci (“Imidiwan Ma Tennam”), mentre gli ottoni di New Orleans aumentano il tasso di solennità del gospel desertico “Ya Messinagh”.
Liquidata la pratica “ospiti” nei primi venti minuti, i Tinariwen incrociano le gambe e si siedono sotto il sole del deserto, imbracciano chitarre rigorosamente acustiche e portano a casa il loro disco più intimo e probabilmente più “accessibile”. Se da un lato spariscono i tradizionali cori "response" femminili, fanno la loro comparsa voci “angeliche” e fingerpicking puliti (“Walla Illa”), handclapping pacificati (“Imidiwan win Sahara”) e preghiere corali (“Tamiditin Tan Ufrawan”) o private (“Tameyawt”). Ma anche il tipico incalzare dell'orgoglio Tuareg (splendide le chitarre di “Aden Osamnat”), momenti di poesia spoglia e polverosa (“Tenidagh Hegh Djeredjere”) e la consueta voglia di lasciar fluire la musica in modo naturale e spontaneo, rispettando la legge del blues.
E, a proposito di blues, sarebbe bello poter seguire il tour dei Tinariwen negli Stati Uniti, tra location eccellenti tipo l' Amoeba Music di Los Angeles (il negozio di dischi più bello che vi possa capitare di visitare) e vere e proprie culle del blues come l'House of Blues di New Orleans. Speriamo solo che, insieme al calore del deserto ed alla poesia di queste chitarre acustiche, si ricordino di mettere in valigia anche un po' della loro leggendaria polvere da sparo.
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