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R Recensione

7,5/10

Deca

Isole Invisibili

Il nuovo album di Deca è una grande sorpresa e contemporaneamente una bella conferma. Sorpresa perché questo artista nostrano si è costruito in trent'anni una solida credibilità come musicista alternativo e di ricerca, con una cospicua discografia di genere elettronico e sperimentale alle spalle. Conferma perché con questo lavoro esclusivamente pianistico dimostra di essere un musicista vero, preparato, talentuoso, capace di "suonare" davvero e di farlo con una sensibilità e un'eleganza non comuni.

"Isole invisibili" esce in cd e in formato digitale, distribuito da subito in tutto il mondo attraverso innumerevoli portali e piattaforme, portando capillarmente il nome di Deca al di là della cerchia di cultori che lo hanno apprezzato nel tempo per le sue atmosfere apocalittiche e cosmiche. L'opera ha come sottotitolo "piano solo, piano duo" in quanto alcune delle 15 tracce sono eseguite con due pianoforti (entrambi suonati in studio da Deca medesimo). Stavolta il mood è minimalista, intimista, romantico, percorso da un filo di malinconia e di introspezione che colpisce in modo diretto. Si percepisce una radice classica che non è solo data dalla mano con cui Deca suona; ma anche una radice rock che va poi a contaminarsi con grandi nomi della scuola contemporanea, da Wim Mertens a Philip Glass a Michael Nyman.

In brani come "Penombre", "Primo preludio", "Un giorno" risuonano suggestioni discrete, toccanti, che non hanno bisogno di virtuosismo per affermare una propria identità sentimentale. E poi brani come "Onde allo specchio" e "Malinconie di settembre" che incalzano martellanti e fluide a rimarcare un tipo di verso di sentimento, realmente romantico e ancestrale, eppure così attuale. Dentro ci ritrovo complessità e immediatezza, cosa che raramente riesce ad un artista.

Il pianoforte è uno strumento che pare non conoscere crisi e mode e continua a garantire emozioni nonostante in questi tempi recenti ne sia stato fatto un abuso - spesso a fini dichiaratamente di lucro - abbastanza avvilente. Non tutti i pianisti che infestano il mercato discografico e i teatri possono vantare una radice culturale e una poliedricità come quelle che dimostra Federico De Caroli (vero nome di Deca). Lontano dai barocchismi e dalle facilonerie di certi acclamati e strapagati compositori nostrani, vince innanzitutto una sfida con se stesso mostrando una vena musicale finora affiorata solo a tratti e in forte contrapposizione alle sue opere più note; e poi vince una sfida con le aspettative generali di un pubblico sempre più disorientato e frammentato, soprattutto disinformato. Un disco come "Isole invisibili" può appagare e convincere qualsiasi tipo di musicofilo, perché si sintonizza su una musicalità interiore che trascende i gusti di genere.

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