Luca Bassanese
La Rivoluzione
Il limite che mi impedisce di apprezzare in pieno La Rivoluzione e che, sono sicuro, sarà la spada di Damocle sulla testa di molti altri ascoltatori ha origini onestamente, profondamente, schiettamente morali. Per farla breve: non possiedo il semplice ottimismo che pervade, da cima a fondo, le canzoni di Luca Bassanese. Non riesco, ancora, a trovare ragioni valide per esserlo. Non rischierei di puntare sulla durevolezza di questo nuovo, benedetto mondo che eppur si muove (ma come ? e per quanto ?) e, pur convinto della necessità di tornare a guardare in faccia i propri interlocutori e di saper ascoltare, ancor prima di parlare ed affermarsi, credo che la metamorfosi culturale di cui abbisognerebbe da tempo il nostro paese sia ben lungi dallaffermarsi. Bassanese si pone dal lato opposto: fiducia nella democrazia, nellessere umano, nella signora speranza, contro il potere cristallizzato e le caste, in perpetua marcia verso il sole. Chi non ha praticità con le tinte popolari da teatro/canzone del nostro cantastorie, insomma, rischia di incappare in brutti pregiudizi, limpidezza dintenti confusa per spicciola façade, fiducia nellavvenire fraintesa per la solita, ingenua utopia. Chiacchiere sommarie, a ben vedere. Piuttosto, è ora di chiedersi: possibile resuscitare la definizione di attivista, oggi? Se lo credete, Luca Bassanese corrisponde al profilo cercato: la voce delle minoranze, il volto dei beni comuni, la laica cassa di risonanza oltre le fittizie barriere di sesso, razza, lingua e religione.
Sempre più a suo agio con il concetto di brano come serbatoio di memoria collettiva ed aurale, caricato di accenti drammatici ed espressivi ed immediatamente memorizzabile fruibile, se vogliamo, come prima e diretta conseguenza da ogni fascia e ceto sociale, il trentasettenne vicentino scrive allora, con laiuto dei consueti arrangiamenti di Stefano Florio, un quarto disco, La Rivoluzione (pacifica, non-violenta, gandhiana o dongalliana a dir piacendo, si sottintende), proiettato in avanti verso un solo obiettivo: la ricerca di una forte interconnessione per propagare, a lettere nitide e comprensibili, un messaggio. Quale la sua natura, non serve stare ancora a specificarlo. Abbandonate in parte le velleità world e latin che avevano colorato gli slanci pop del precedente Il Futuro Del Mondo, Luca Bassanese torna così allamore di un tempo, la vecchia canzone italiana e i 2/4 circensi per bande popolari, tra fiati, tamburi ed il consueto dispiego di più registri vocali ad impersonare maschere davanspettacolo, ad incarnare stati danimo, a tuonare sopra piccole tragedie e grandi nefandezze dellattualità quotidiana. Il modus operandi, oramai, lo si conosce bene. Per un po, tuttavia, il dialogo sembra divenire soliloquio, con un singolo Qui Si Fa LItalia O Si Muore ancorato ad una frusta fanfara orchestrale con crescendo emotivo del tutto italiano, ahimè, nel senso melodicamente deteriore del termine, ed un seguito quasi invariato sul piano armonico, La Casta, con slogan cantati a presa rapida (È la Casta / questa cosa oleastra / appiccicosa e conformista / che non sai come lavare, pulire, smacchiare) ed hook smaccatamente pop a scansione quasi ska, opportunamente rallentata intarsiati da sax e clarinetti.
Il disco, in seguito, comincia a presentare momenti più interessanti, slegati dal meccanicismo del coinvolgente confronto dal vivo (un dvd, a tal proposito, è di prossima registrazione). Il Coro delle Mondine di Bentivoglio professione non lasciata al caso trasforma lottima La Canzone Del Laureato in un amaro girotondo che facilmente troverebbe posto sulla collina di Spoon River, e che avvicina notevolmente, forse per lultima volta?, Bassanese al De André circolare e scheletrico di Vol. 3 (E tu cara amica, anche tu laureata / Figlia di madre di un fu 68 / chi ti consiglia ti dice di darla / al primo colluso di un padre corrotto). Ma Cosè Questa Crisi? rivisita, con spietata ed intelligente ironia, uno standard di Rodolfo De Angelis del 1933: sconcertante la giustapposizione di riquadri caricaturali dei postulanti, come a dire che da una depressione allaltra nulla sembra davvero cambiare. LEssere Umano, manifesto di un nuovo ed assennato antropocentrismo, dichiarazione nero su bianco dellaspettativa verso luomo al di sopra delle nazioni / degli eserciti, delle opinioni / fuori dallideologia, arriva a tessere le fila di un romanticismo introspettivo che si sfoga a pieni polmoni nei cromatismi Youssou NDour di Signora Speranza e nel recital conclusivo, Cè Un Mondo Che Si Muove!, già conosciuta ai tempi delle battaglie nel comitato Acqua Bene Comune (sembrano passati secoli da quel decreto Ronchi, di appena due anni fa), figlia di una sensibilità che non dimentica tuttavia il suo lato più istrionico, soddisfatto dalla complessità interpretativa del klezmer teatrale di Vogliamo La Testa Del Re!.
La Rivoluzione, nel complesso meno brillante rispetto al precedente capitolo, e sovente in affanno sul versante strumentale, è un altro lavoro di Luca Bassanese, da intendersi come sintendono ormai i trademark codificati: dischi sobri, essenziali, solari, che parlano al cuore e che tutti, volendo, possono arrivare a capire. Che sia questo, in fondo, a dare davvero fastidio?
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