R Recensione

8/10

Les Fleurs de Lys

Reflections

Nel folto sottobosco musicale anglosassone spuntarono, nei primi anni ’60, quei fiori selvatici destinati a sbocciare e crescere all’ombra di arbusti molto più rigogliosi e lussureggianti, ed in quel di Southampton, i seminali Fleurs de Lys fecero capolino coi loro variegati colori. Il quartetto (Frank Smith- voce e chitarra, Alex Chamberlain-organo, Cary Churchville-basso e Keith Guster-batteria) in costante mutamento (di cui solo il batterista sopravvisse ai numerosissimi cambiamenti di nome e line-up), dai pubs e dai parties della south- coast inglese riuscirono a guadagnarsi un piccolo seguito che li supportò anche in varie gigs londinesi, durante le quali catturarono l’attenzione di una piccola label, la Immediate records, ma non solo

. Ad un allora giovanissimo Jimmy Page fu chiesto di partecipare alle sessions del gruppo e ne scaturì una allucinogena versione di “Moondreams” di Buddy Holly:  era l’hammond di Chamberlain a trascinare in veritiginose spirali lisergiche l’intera sezione ritmica infiorettata di flengers e distorsioni che costituivano gli stilemi del cosiddetto freakbeat, considerato un anello di congiunzione fra l’R’n’B Mod di inizio e metà anni ’60, e la psichedelia. Nonostante l’originalità, il singolo, alla sua uscita, passò quasi inosservato, contribuendo a creare un sentimento di delusione e disillusione che condusse all’immediato scioglimento del gruppo; seriamente motivato a continuare, il superstite Keith Guster si diede subitaneamente a rimpiazzare i tre disertori con altri musicisti incontrati a Londra: Haskell al basso, Phil Sawyer chitarra e Pete Sears all’hammond.

E ancora una volta fu Jimmy Page l’eminenza grigia che credeva ed investiva negli incompresi Fleurs de Lys, supportando con una sottile e martellante campagna pubblicitaria, una brillante e travolgente versione di “Circles degli Who; l’energia sprigionata dalle drums insieme a furibonde chitarre ed eccellenti vocals, fu tale da sbaragliare persino il brano originario! I Fleurs de Lys erano pronti per il grande salto e ciò che occorreva era un frontman con cui poterli identificare: la parte fu affidata al cantante-attore Chris Andrews e nello stesso anno collaborarono coll’insuperato astro allora nascente, della psichedelia americana Jimy Hendrix.

Purtroppo non fu mai datoalle stampe il frutto di queste registrazioni, sebbene in tutto il loro percorso i Fleurs de Lys risentirono dell’influenza di Hendrix. Ma una nuova fase stava incominciando e ad una rivoluzione interna di line-up ne corrispose una nel sound; tutti i membri ebbero luminose carriere parallele chi con i Monkees, chi con i Copperhead, coi Procol Harum o al fianco di Grace Slick e solo il caparbio batterista Guster seguitò con i Fleurs de Lys. Dalla psichedelia approdarono dunque al diretto opposto, firmando per l’etichetta soul e northern soul Stax/ Volt: i loro 45” “I’ve been trying” e “Brick by brick” riscossero consensi positivi.

Romantico lento dagli influssi “neri” il primo, ed un fresco e morbido soul il secondo,come ci si aspettava da un gruppo targato Stax, anche il manager e produttore Frank Fenter ne fu favorevolmente colpito; impegnato allora nella promozione della sua giovanissima girlfriend Sharon Tandy, ebrea di Johannesburg con all’attivo, a soli 20 anni, 2 hits in Sudafrica e diverse parti in alcuni film, non vide niente di meglio che inserire questa voce dalle tonalità scure( nonostante la Tandy fosse bianca) in una band che stava vivendo, in quel momento, la sua fase soul. “Hold on” la lanciò come seconda vocalist dei Fleurs de Lys ed il loro tour al fianco di stelle del pari di Aretha Franklyn ed Isaac Hayes li confermò come una “sensazione”, essendo l’unica band bianca mai scritturata nella storia della Stax.

Azzeccato mélange di soul (nelle calde e suadenti vocals di Sharon) e psichedelia( passione che mai il gruppo avrebbe abbandonato), come l’intro  di chitarra flengerata in purissimo Hendrix sound dimostra in “Hold on”. Simili passaggi come quelli, per esempio, di “Daughter of the sun”  (che si riscontreranno in seguito anche negli Shocking Blue), tradivano quello smisurato amore per la psichedelia, negli arrangiamenti acidi di chitarra  e basso, così come nell’incedere cadenzato delle drums, che ne facevano un brano che in realtà ben poco aveva di Stax. Forse fu proprio per questo che nel colorato 1967, la metamorfosi dei Fleurs de Lys in un gruoppo psichedelico senza più concessioni ad altre sonorità, fu definitiva. Rinati, per un breve periodo, sotto il nome di Rupert’s People, il cantante Chris Andrews se ne staccò per proseguire una scintillante carriera al fianco di Arthur Brown, di Chris Farlowe, dei Procol Harum , prima di trasformarsi, infine, in un ottimo manager/produttore. Senza di lui i Rupert’s People/ Fleurs de Lys, con le avvenute sostituzioni-lampo, registrarono “I can see the light”, ballata debitrice a quel romanticismo tipico di Chris Farlowe, a base di organo evocativo e malinconico a cui archi che apparivano e sparivano aggiungevano risalto psichedelico, così come le voci nella reprise a sorpresa.

O come il bellissimo e nostalgico freakbeat di “Prodigal son”, uno dei brani più emozionanti del gruppo; ancora, la graffiante “One city girl”,dove riecheggia l’allucinata lezione di Jimy Hendrix. Ma fu con “Gong with the luminous nose”( 1968), liberamente ispirato ad un racconto nonsense di Edward Lear che la band toccò il loro apice: tripudio di arrangiamenti “fuzzy”, assoli di chitarra distorti e acidi più che mai, fu di sicuro la canzone che più li rappresentò, oltre al rugginosissimo strumentale “Hammerhead. Dalla Polygram intanto, erano passati all’Atlantic ( con Tony Head in qualità di cantante) e il groove di “Crossing the bridge” li riportò ai tempi della Stax.

Il successivo, effervescente “Butchers and bakers”, registrato sotto un ulteriore nome the Staccatos, ma pur sempre Fleurs de Lys  nell’essenza, era uno straordinario distillato di glam vicinissimo ai Roxy Music di Brian Ferry( e al quale la voce di  Head, a tratti, ne ricorda il timbro) e un frenetico beat in stile Creation e difatti, risultò più tardi che gli Staccatos  altri non erano che la maggior parte dei membri dei Creation. Il 1969, l’anno di chiusura dell’avventura inifnita dei Fleurs de Lys, vide l’uscita dell’ultimo 45 “ “You’re just a liar”, ottimo pezzo scaldato da quella ritmica freakbeat che tanto li aveva distinti. Ed i petali di questi magnifici “Fiordalisi” si sparsero ovunque, dall’Inghilterra alle assolate spiagge americane della West-Coast, sebbene mai abbastanza riuscirono a diffondere la loro fragranza, confusa con aromi ben più forti di quegli anni così sovrappopolati di talenti.

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Cas 8/10

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Ci sono 2 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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Cas (ha votato 8 questo disco) alle 20:22 del 26 giugno 2008 ha scritto:

per fortuna che c'è brionia a scovare e recensire queste gemme perdute! proprio bell'album! però questa è una raccolta non è vero? peccato che negli anni '60 non hanno prodotto un album...forse oggi sarebbero più conosciuti...

Utente non più registrat (ha votato 2 questo disco) alle 21:36 del 16 ottobre 2020 ha scritto:

... Cristo.

Dà retta a me, certe band è bene lasciarle nel dimenticatoio. Spero sia il primo e ultimo "2" che dò a un disco. Questo disco rischia di corrompermi l'anima e lasciarla a brandelli, agonizzante, sola, inconsolabile. Un buco nero dell'Arte.