R Recensione

9/10

Iron Butterfly

In A Gadda Da Vida

Se, nel chiedere quale sia il primo cd heavy metal, qualcuno vi rispondesse nominando questo cd, non esitate a tirargli un bel cazzotto sul naso. L’immensità di questi pezzi non può essere ridotta a figura paterna dei Deep Purple. È molto di più.

Prendete l’acid rock, mescolate con del garage rock d’annata, aggiungete psichedelia in quantità con un pizzico di musica tribale e sarete comunque lontani dalla definizione di In A Gadda Da Vida. Il nome deriva dalla frase in the garden of heaven che, storpiata, veniva così pronunciata dall’ubriaco cantante Doug Ingle sui palchi dei loro concerti (esistono varie versioni di questo aneddoto, ma variano solo i particolari, mai la sostanza).

Milioni di copie vendute – sarà il primo disco di platino nella storia del rock – evitarono il sacrificio commerciale dell’ultima canzone, la title track di 17 minuti, a cui venne dedicato l’intero lato B dell’LP, inizialmente ridotta e spogliata da qualsiasi assolo per ordine della casa discografica.

Se per qualche secondo potrà sembrare di sentire qualche nota dei Cream o dei Doors, sarà solo una distrazione temporanea, destinata a soffocarsi nelle maestose note dell’organo, nella splendida voce di Ingle, e in un crescendo di batteria (poco presente nelle prime tracce e progressivamente sempre più protagonista, fino all’assolo a metà dell’ultimo pezzo).

Sicuramente è la versione più dura dell’acid rock, e fu probabilmente questo il segno distintivo che garantì enorme fama alla band. Gli Iron Butterfly cambiano senza preavviso i ritmi, senza preoccuparsi di rompere gli schemi, mentre i riff di chitarra suonano di una cattiveria mai sentita prima; e non è un caso che gli Slayer (niente di più distante tra Angel of Death e Are you happy, non pensate che sia la stessa musica) si siano cimentati in una cover di In a gadda nella colonna sonora Less than Zero (1987).

Di disco in disco la formazione di questo storico gruppo cambierà in modo importante, segnando un progressivo declino. Perfino tra il loro esordio (Heavy, sempre del 1968) e questo album epocale ci sono solo due componenti in comune (Ingle e Ron Bushy).

Ma poco importa, perché ci sono intere discografie solo piacevoli sugli scaffali dei negozi, mentre di capolavori non si abbonda di certo. Questo invece è IL disco, capace di condensare le atmosfere dell’anno di Woodstock in un mix che prende il meglio da ogni genere, si fa anticipatore di molta della musica a venire e, allo stesso tempo, resta inimitabile.

Il gruppo si fa valere anche sul palco, davanti al loro numeroso pubblico, tanto che l’altro cd assolutamente immancabile è appunto Live (1969), che racchiude i migliori brani dei primi tre album studio.

Anche se dal 1970 hanno avuto poco da dire (di nuovo) resta questa pietra miliare, questo tassello fondante del rock tutto (e dei suoi derivati).

Soprattutto i metallari, per stavolta, farebbero bene a mettere da parte i loro dragoni e le borchie, accendersi il bastoncino d’incenso e lasciarsi trascinare da uno dei padri del rock moderno.

V Voti

Voto degli utenti: 8,1/10 in media su 12 voti.
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2,5
2
1,5
1
0,5
Cas 8/10
Zeman 8/10
REBBY 7,5/10
B-B-B 9/10
ThirdEye 5,5/10

C Commenti

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REBBY (ha votato 7,5 questo disco) alle 9:14 del 4 novembre 2008 ha scritto:

Di questo album, che possiedo da circa 30 anni e

che ho ascoltato l'ultima volta qualche mese fa,

da sempre mi piace veramente solo la suite (che

se non sbaglio fu la prima o giù di li ad essere

edita su disco); il resto non mi ha mai catturato

(in AmeriKa allora c'erano i Jefferson, i Grateful

e i Quicksilver ...). Comunque come dice Dmitrij

disco epocale.

PierPaolo (ha votato 8 questo disco) alle 9:35 del 4 novembre 2008 ha scritto:

Se lo consideri un capolavoro perchè non gli dai il voto massimo?

Stavolta non condivido il tuo entusiasmo, il gruppo è passato alla storia per quella suite rock ben congeniata e quel riffone epocale, ma poi non è riuscito a combinare altro. Il titolo deriva in realtà da "In The Garden Of Eden", mi pare.

SanteCaserio, autore, alle 10:28 del 4 novembre 2008 ha scritto:

PierPaolo

E mica si può essere sempre d'accordo

Comunque sul voto siamo più o meno lì, mi pare.

Il gruppo non ha combinato altro a parte questo, verissimo, ma dovendo recensire il disco e non il gruppo ho preferito sfogare l'entusiasmo accumulato leggendo interviste varie in cui gruppi più disparati li citavano (ricordi abbozzati, non saprei fare l'elenco dei nomi a dirla tutta).

Lo preferisco a diversi lavori dei Jefferson (citati da Rebby) ad esempio.

Sì deriva da "in the garden of Eden" storpiato, ma ho scritto qualcosa di diverso?

SanteCaserio, autore, alle 10:32 del 4 novembre 2008 ha scritto:

PierPaolo 2

Scusate, non avevo visto la domanda...

I miei 10 me li riservo per il futuro, per dischi più personali. Lo considero un disco epocale e fondamentale, ma non esattamente un capolavoro.

Zeman (ha votato 8 questo disco) alle 15:34 del 2 settembre 2012 ha scritto:

Il voto alto è per la splendida suite, ma il resto non mi dice niente, disco forse più importante che bello... e comunque i coevi BlueCheer erano ben altra cosa.

ProgHardHeavy (ha votato 9 questo disco) alle 23:43 del 8 settembre 2014 ha scritto:

Mah, sono l'unico che la vede come il recensore? davvero? boh... Disco bellissimo, a me piace anche molto la prima parte, non solo l'epocale track-list. Disco capolavoro della psichedelia.

Utente non più registrat (ha votato 6 questo disco) alle 9:26 del 24 settembre 2019 ha scritto:

Sopravvalutatissimo. L'unica cosa che vale la pena ascoltare è la suite omonima, con un riff rubacchiato a Sunshine of Your Love... ed infatti dopo due minuti chiudo In A Gadda Da Vida e mi ascolto contento il capolavoro dei Cream.

E, rivolto al recensore: tranquillo che i Deep Purple hanno fatto molto di più e meglio di questi caproni