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R Recensione

8/10

Amy Winehouse

Frank

Inutile negarlo: Inghilterra e Stati Uniti sono le culle della grande musica che riesce a trascendere i confini nazionali. E se si eccettuano poche altre sporadiche intromissioni europee (la kosmische musik tedesca, il french touch), i più bei dischi internazionali provengono proprio dai paesi anglofoni; i quali, non distinguendosi certo per modestia, hanno da sempre un implicito conflitto su chi possa detenere la palma di “patria della musica”. Ce lo possiamo quasi immaginare il botta e risposta: “Noi abbiamo avuto Bob Dylan e Bruce Springsteen”, “Noi i Beatles e i Rolling Stones”; “Noi abbiamo avuto i Beach Boys”, “Sì, ma da noi c’erano i Kinks”; “E’ da noi che è nato il movimento grunge”, “Però poi da noi c’è stato il trip-hop, e negli anni ’90 noi abbiamo avuto Madchester, i rave, il big beat!”, “Ok, ma dove sono nati house e techno?”; e così all’infinito, ognuno con i suoi gioielli musicali. Però se l’americano dicesse “Noi abbiamo avuto la musica soul” all’inglese non resterebbe nulla da replicare. In Inghilterra la tradizione soul non c’è mai stata, e la cosa è sempre stata percepita come una pecca, un vuoto sensibile nella onorata storia musicale inglese… e gli americani gongolano. Per cui immaginatevi l’enorme soddisfazione nella terra d’Albione quando nel 2003 si trovarono tra le mani, quasi senza preavviso, una soul sista fatta e finita: Amy Winehouse, che all’epoca era un’adolescente, usciva quell’anno con il suo disco di debutto “Frank”. Grande personalità, un talento enorme e una voce che scuote: gli elementi per lasciare il segno ci sono tutti.

Impossibile non aver sentito nominare la Winehouse in riferimento a gossip scandalistici e/o denunce per reati vari. Purtroppo dopo il successo Amy ha perso il controllo e il mondo dello showbiz le ha fatto pagare a caro prezzo i suoi colpi di testa: oggi di lei si parla di più per le presenze nelle aule di tribunale che per la musica. Ed è un peccato. All’uscita di “Frank” le bizze della cantante erano appena iniziate, ma l’album offre la possibilità di gustarsi questo talento ancora fresco, al netto della sovraesposizione mediatica: un’artista e la sua musica, solo questo. Ne vale la pena. 

Frank” nasce come una collaborazione tra la Winehouse e il produttore hip-hop Salaam Remi; lei ci mette testi, voce ed espressione, lui gli arrangiamenti. E l’impronta di Remi si sente: il terzetto di brani che apre l’album, infatti, è un aggiornamento del suono nu-soul rivisitato con le basi potenti tipiche dell’hip-hop su cui la voce della Winehouse scivola sinuosa e spigolosa al tempo stesso; i beat sono smussati o affilati a suo piacimento dalle tonalità vocali. Se “Fuck Me Pumps” rappresenta il lato più modaiolo, “You Sent Me Flying”, che non è esente dall’influenza hip-hop ma si arricchisce di nuove sfumature concedendosi un bell’ingresso ad effetto con la voce accompagnata dal piano, mostra subito tutte le potenzialità della cantante inglese. Il disco prosegue con atmosfere più tipicamente jazzate, due brani (di cui uno, I Heard Love Is Blind”, scritto interamente dalla Winehouse e l’altro una cover di Isham Jones) che non sfigurerebbero di certo nella fumosa atmosfera di un locale jazz. Da qui Amy dispiega un ventaglio di soluzioni musicali con cui si confronta, sempre mantenendo un’innata naturalezza: “In My Bed” sono i beat asciutti di inizio disco che diventano carichi e baroccati; in “Take the box e “What it is about men ci si rende conto ancor di più di quanta emotività può trasmettere la Winehouse anche senza bisogno di obsoleti virtuosismi vocali; quasi come contrappeso, in “October Song” e “Help Yourself” l’atmosfera si mantiene leggera, spensierata. Chiude i conti la pigra “Amy Amy Amy”, forse l’episodio davvero prescindibile del disco. E attenzione non solo a come canta Amy Winehouse, ma anche a cosa canta: liriche sincere e dirette (come esprime appunto il titolo “Frank), cantate con il cuore in mano e che riempono di significato la voce così intensa. E un disco con un’anima è già una bella cosa in questi anni 00.

Con “Frank” Amy Winehouse si pose fin da subito in una zona franca tra Nina Simone ed Erykah Badu, confermando poi la sua bravura anche con il successivo “Back To Black”. Peccato sempre per quei vizietti che la fanno finire sulle copertine sbagliate… perché “Frank” non basterà a risollevare la tradizione soul inglese, ma una bella ora di musica la fa passare.

V Voti

Voto degli utenti: 7,4/10 in media su 12 voti.
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risen 7/10
plaster 7,5/10
Senzanome 7,5/10
ThirdEye 6,5/10
jekspacey 6,5/10

C Commenti

Ci sono 8 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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Filippo Maradei alle 0:11 del 20 agosto 2010 ha scritto:

Ma cos'è mo 'sta moda per la Winehouse? Non mi dite che merita davvero? Voglio dire, non è la stessa di di Mtv, quella che sembra un mostro e canta pure peggio?

Dr.Paul (ha votato 8 questo disco) alle 15:34 del 20 agosto 2010 ha scritto:

boooni, lasciate perde la winehouse!! sarà piu brutta della monae ma è piu divertente, e poi scrive e arrangia, fa tutto lei senza nessuno alle spalle...nn è poco, e poi grande voce...strascicata come billie holiday, talento!

PS

roberto questo disco non si tagga con il secondo della winehouse!!! fate attenzione ai tag!! bella rece!

Filippo Maradei alle 16:23 del 20 agosto 2010 ha scritto:

Boh, magari so' io che ho sempre ascoltato la brutta copia della Winehouse... vorrà dire che dovrò lasciarle qualche margine di spazio...

Roberto_Perissinotto, autore, alle 20:36 del 20 agosto 2010 ha scritto:

Grazie paolo, sia per i complimenti che per il consiglio che ti assicuro di seguire...

simone coacci (ha votato 8 questo disco) alle 18:37 del 21 agosto 2010 ha scritto:

Mi unisco agli elogi a disco e recensore. Bravo Peris.

salvatore (ha votato 7 questo disco) alle 14:40 del 22 agosto 2010 ha scritto:

RE:

moi aussi

Utente non più registrato alle 22:38 del 23 agosto 2010 ha scritto:

Disco e "artista" a mio avviso assolutamente dispensabili....

risen (ha votato 7 questo disco) alle 16:28 del 17 dicembre 2011 ha scritto:

bel disco grazie a una voce stupenda anche se qualitativamente inferiore a back to black