David Bowie
The Next Day
Un po di fifa cè. In fondo si tratta del ritorno in pista di uno dei pilastri del pop, del rock, della wave vecchia e nuova. Torna dopo dieci anni di assoluto mutismo e fa subito centro con una trovata mozzafiato, il giorno del suo compleanno (8 gennaio) sul suo sito ufficiale compare una notizia bomba, capace di creare un sensazionale effetto domino in tutto il mondo: tempo sessanta giorni un nuovo disco di inediti e immediatamente il video del nuovo singolo. La corpulenta armata dei bowiefan si infiamma rapidamente sulle note di Where Are We Now?, ed è subito miracolo come fu per le madonnine sanguinanti.
Cerco di rimanere freddo e non farmi coinvolgere troppo dalla gente che scalcia, devo riuscirci a tutti i costi, devo fare in modo che questo ritorno, che senza dubbio mi coinvolge emotivamente, non mi faccia perdere del tutto il senso critico.
Ho sempre ammirato David Bowie per la sua capacità di guardare avanti, per quel suo innato talento nel mescolare pietanze dogni sorta da dare in pasto anche allascoltatore più svogliato e meno ricettivo, per condurlo poi in territori (pop ma non solo) inesplorati. Tutto questo senza mai guardarsi indietro con nostalgia e rimpianto, riciclando con grande rapidità ed apparente cinismo tutti i suoi collaboratori proprio per non cadere nella trappola di un processo creativo stantio, convenzionale, antiquato.
E qui che si palesa l'incertezza di cui accennavo in apertura: i musicisti coinvolti sono grossomodo gli stessi del periodo 1995 2003, ovviamente con 10/20 anni di più sulle spalle, il produttore è Tony Visconti - un grande per carità - ma era già demodè (provare per credere) nel 2002-2003 cosa può offrire oggi che lasticella del pop rock di vaga fragranza mainstream si è sensibilmente alzata? La copertina poi, potrà anche rivelarsi una genialata ma ricalca ancora qualcosa del passato, passato glorioso beninteso, quello berlinese mica pizza e fichi. I singoli, nel frattempo, sono diventati due : Where Are We Now? è una gradevole ballata dal battito lento, molto lento, lentissimo; ci presenta un Bowie nostalgico e tenerone intento a rimembrare luoghi e tempi andati della sua Berlino insieme a Iggy Pop (roba da non credersi), mentre il video usa una tecnica di elaborazione del volto dei protagonisti, vecchia di quindici anni e già usata dallo stesso Bowie nel periodo Earthling. Il secondo singolo riesce a peggiorare il mio già precario equilibrio: molto accattivante il video che si avvale della partecipazione dellattrice inglese Tilda Swinton, la regia è di Floria Sigismondi già collaboratrice di Bowie da udite udite: tre lustri orsono. Il brano The Stars (are out tonight), è un pop rock lineare strofa-ritornello, in verità molto poco originale e molto vicino nel missaggio a quel che è stato lultimo lavoro in studio di Bowie: il controverso, per usare un eufemismo, Reality (2003). Sono nel panico più totale, se le premesse sono queste non cè scampo, mastico amaro ma non lo do a vedere, non voglio rovinare la festa a nessuno.
Fino al primo marzo, quando la ISO Records decide di rendere agibile lo streaming gratuito, via iTunes, dellintero disco. A questo punto i miei timori si dissolvono istantaneamente, David Bowie è vivo e vegeto e prova inequivocabile sono le prime due tracce del nuovo attesissimo lavoro: The Next Day, che dà il titolo allalbum, è un art rock sbilenco come ai tempi doro, i tempi di Lodger e Scary Monsters - suvvia per un rocker della statura di Bowie concedeteci paragoni con le perle del passato - le liriche sono pungenti, rappresentano una realtà vicina a drastici sconvolgimenti e si poggiano su un fondale di chitarre che friggono acide, avvinghiate come sono a synth lugubri capaci di suscitare uno stato di meravigliosa eccitazione nervosa. La traccia seguente, Dirty Boys, ci restituisce intatto lingegno speculativo, quel fondante elemento visionario che ha caratterizzato a più riprese la discografia del nostro e che negli ultimi tre lavori in studio era sembrato essersi smarrito: uno scarnificato incedere di batteria, il basso di Tony Levin e chitarre nuovamente affette da nevrosi, con un sax baritono dalla iniziale mansione ritmica, sono quanto di meglio si sia ascoltato in un disco di Bowie da quindici anni a questa parte. Arte senza intenti pratici, la ricerca di una forma espressiva vicina agli episodi più ritmati di Laurie Anderson.
Linizio del disco è un susseguirsi di felici intuizioni: Love Is Lost ad esempio, con la sua andatura da tragedia imminente, puntellata da un perfido organo e aggressivi accordi stoppati di chitarra, la linea vocale filtrata da effetti ma ancora capace di evocare suggestioni ipnotiche, siamo a quote altissime di ispirazione artistica.
Certo non tutto il disco è su questi livelli, meglio così altrimenti ci saremmo visti costretti a tirar fuori di nuovo la trousse e le paillettes troppo a lungo riposte nei cassetti. Vero è che i momenti minori di questo The Next Day risultano meglio orchestrati di molti episodi del recente passato bowiano. Prendete Valentines Day, giusto per citare un potenziale singolo radio-friendly, nonostante una certa ruffianeria di fondo con tanto di coretti stile Marc Bolan glitterato, è prodotta con gusto e suonata senza leccessiva melassa di alcuni singoli di inizio anni 00. Riguardo The Stars (are out tonight) sarò tranchant e me ne scuso in anticipo: se a sessantasei anni devi cimentarti in un pop rock dritto, lineare, tradizionale, conservatore, quattro quarti .. o tiri fuori la nuova Starman o meglio lasciar perdere. Tra le quattordici tracce che compongono la raccolta inevitabilmente incappiamo in pezzi che scorrono via dignitosamente senza però offrire particolari sussulti (If You Can See Me, Id Rather Be High, Boss Of Me), altri invece, sono decisamente insignificanti ed ogni riferimento a Dancing Out In Space e You Will Set the World on Fire è puramente voluto.
Nel finale vanno ad accumularsi gemme di spessore assoluto: How Does The Grass Grow? conserva la cadenza cantilenante e quel tono beffardo che riconducono idealmente alla Up The Hill Backwards di Scary Monsters (ho detto idealmente), mentre You Feel So Lonely You Could Die è la definitiva ballad dai residui polvere-di-stelle che attendevamo da anni. La semiacustica Heat, già accostata dagli attenti ricercatori allo Scott Walker più affranto è, per lappunto, sintesi suprema di armonia ed equilibrio melodico e porta a termine un lavoro indiscutibilmente soddisfacente, impervio ed accessibile allo stesso tempo, passionale, a tratti illuminante. Ecco il Bowie Comeback Special!
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