Grinderman
Grinderman
Signore e signori, ecco a voi i Grinderman, il nuovo progetto di Nick Cave. Non che il vecchio australiano abbia deciso di mettere da parte i Bad Seeds (anzi i membri sono quasi gli stessi: il batterista Jim Sclavunos e il chitarrista Warren Ellis con la sola aggiunta del bassista Martun Casey, ex Triffids), con cui anzi è previsto un altro disco a breve.
È solo che a Nick gli è venuta nostalgia. E per questo ha messo su un nuovo gruppo. La nostalgia che ha assalito Nick è rivolta non a un gruppo o a vecchi amici ma a un’attitudine. L’attitudine della giovinezza e la voglia di rimettersi in gioco con un disco violento, tirato, che andasse a ripercorrere quei meravigliosi primi anni ’80 in cui spaccava il mondo coi Birthday Party vergando un sound sporco, dalla grezza attitudine punk e rock’n’roll, rielaborando però quell’esperienza con il suono ormai diventato classico delle sue ballate malinconiche.
“Ho ritrovato la forza del passato, anche un po' della disperazione, ho ripreso in mano la chitarra […] abbiamo preso brani che vanno dalle parti della musica nera, del jazz di Coltrane ( Alice), del garage dei Sessanta. Non mi interessava volare alto, ma esprimere visceralmente tutte le mie emozioni, scaricarmi.”
Questa dichiarazione d’intenti rilasciata da Nick Cave parla da sola. La conclusione dovrebbe essere lampante: il ritorno a un suono lurido, tenebroso, sporco, disperato, viscidamente blues fino al midollo.
E in effetti il risultato è quello: Get It On sorprende per le percussioni tribali ma soprattutto per il riff elettrico che accompagna il cantato marmoreo di Nick. No Pussy Blues meriterebbe una laurea ad honorem solo per il titolo irriverente ma poi non si saprebbe più che premi dare a un brano spettacolare in cui batteria pulsante, parole sputate al microfono e una chitarra acida e blues fino all’estremo impressionano per la genuinità di tale rivolta sonora. Sembra davvero di sentire un disco new wave-goth dall’attitudine punk uscito dai primi anni ’80.
Electric Alice/Grinderman è strabiliante: nella prima parte sfrutta atmosfere inquietanti in cui trionfa una chitarra sfuggente e distorta. Nella seconda torna il Cave più spettrale di sempre, circondato comunque da pareti di metallo claustrofobiche e sulfuree.
Di colpo si rallenta il ritmo con la languida ballata Chain Of Flowers e con una manciata di pezzi relativamente convenzionali come Don’t Set Me Free e Decoration Day. Ci pensano la vorticosa Love Bomb e la straniante Honey Bee a riportare il disco sui binari di uno scatenato garage rock.
Ma Nick Cave non dimentica di essere anche un grande poeta e tira fuori dal cilindro la toccante Man on the moon e,dopo l’insipida Go Tell The Women, si mette a parlare d’amore nella romantica Vortex emozionando anche in Rise con una progressione alla Dirty Three. Inutile negare l’evidenza però: dopo un inizio impressionante il disco cala decisamente e perde per strada la carica emotiva e rabbiosa dei primi tre pezzi. È vero che guadagna in sensibilità e introspezione ma l’impressione è che i pezzi migliori siano quelli più tirati.
Rimane un’esperienza comunque positiva che conferma il valore e la tenuta di un artista ormai arrivato quasi ai trent’anni di attività. E non ce sono molti in giro che, dopo tutto questo tempo "sulla piazza", riescono ancora a sfornare dischi come questo.
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