Metric
Fantasies
Nel precedente Live It Out di quattro anni fa, la bella ed intelligente testa bionda dellaffascinante Emily Haines era rivolta allindietro, decapitata, occhi sgranati ed espressione sbigottita, in un mare di sangue nero. In seguito, la decisione di dedicarsi prima al suo progetto solista, i Soft Skeleton, poi a promuovere il nuovo libro di poesie postume dellillustre padre Paul, erano state viste come la conferma della fine, se non definitiva, almeno preannunciata, dei Metric. Il ritorno del quartetto canadese, con questo Fantasies, non può non sollevare qualche perplessità dordinanza, se non per leffettiva ricomparsa, almeno per linstabilità degli standard qualitativi del gruppo, in aurea mediocritas con lesordio Old World Underground, Where Are You Now? e calati vistosamente con il sopraccitato seguito.
Emily, dal canto suo, non la manda certo a dire e, sin dalle prime note, forgia un nuovo, imperioso grido, alla pari di quel Its so boring here! urlato a pieni polmoni, anni addietro, durante una diretta radio nella terra delle stelle e strisce. Questa volta ci tiene a farci sapere che Help Im Alive e meno male, aggiungiamo noi -, new wave potente e martellante dalle mutevoli striature vocali. Ma, perché cè un ma: era necessario scrivere un disco intero sopra unidea, per quanto piacevole? Aggiungersi alla fila infinita di revivalisti ottantiani durati il tempo di un paio dincisioni, se non meno? La ricetta, in fondo, cambia di poco: diminuisce la spinta delle iniezioni dance che avevano reso scricchiolanti (e, a tratti, un po cupe, lugubri) le portantine di Live It Out, aumentano per diretta conseguenza i frammenti dove linquieta anima di Ian Curtis e discepolame al seguito è libera di aggirarsi senza colpo ferire (la bella Sick Muse, la migliore del lotto, richiama fortemente gli Interpol, la successiva Satellite Mind ha un che delle Organ declinate in casa Editors).
Anche per la stima che mi lega alla cantante di Toronto, alimentata dalla partecipazioni a progetti come quello dei Broken Social Scene, mi viene difficile accostare a Fantasies laggettivo che sarebbe tuttavia più consono, ovvero superfluo. Non cè molto da buttare, qui dentro, sia per la relativa coesione che per la buona costruzione dei brani. Siamo, sicuramente, uno o due passi avanti al precedente episodio, per continuità dazione e maggiore incisività rock (Gold Guns Girls è, in effetti, un gran pezzo, come uno scontro fra Gossip e PIL). I numeri per fare bene nel genere, però, sono stati acquisiti da troppi nomi, in troppo poco tempo, ed il fatto che un talento comè, di fatto, la Haines, capace di partorire, con nudità e sofferenza, album come Knives Dont Have Your Back, si destreggi in banalissimi anthem synth-rock da stadio terminale, o quasi (Gimme Sympathy) deve, gradualmente, far pensare.
È interessante notare come, fino a qualche anno fa, la stessa musicista si esprimesse in questi termini: Ci sono persone che mi aiutano a produrre musica che, in superficie, non è molto commerciabile, e che non sto certo aiutando a rendere più vicina al marketing. Qualunque sia (stata) la ragione di questa uscita, possiamo dire di non condividerla o, almeno, di volerla ridimensionare nei giusti termini. Ciò che si ha in mano, adesso, sono una manciata di pezzi senza grande imprinting, dove solo la voce si fa notare, sbattendo contro pareti di chitarre pesanti (Front Row, taglio netto verso il passato), scivolando verso unonda di sintetizzatori in notturna, appena bagnati da un chiaro di luna (il minimalismo di Twilight Galaxy) o virando prepotentemente verso un glam rock da singalong, con batteria bombastica ed effluvi di sovraincisioni (Stadium Love: quando si dice tanto chiasso per nulla).
Lo ascolterete con passione, una o due volte. Continuerete a farlo, in seguito perché no? con frequenza nondimeno in calare. Disco per un fine estate in tranquillità: i Metric potranno inserire nellartwork quante lampadine al tungsteno vogliono ma, to be honest, qui di illuminazione ne vediamo ancora poca. Puntate su altro.
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