V Video

R Recensione

5/10

Earth

Angels Of Darkness, Demons Of Light 2

Dylan Carlson, a tal proposito, era stato molto chiaro: il “nuovo” corso della sua creatura principale – ormai non più così nuovo, visto che dura indefinitamente da ormai cinque anni… – avrebbe avuto come obiettivo madre l’apertura di nuove, evocative strade tramite il dispiegarsi di una complessa trilogia con archetipi demonologici come personaggi principali da citare nell’insieme statico dell’accadimento, ascetica filosofia drone non più ronzante e volutamente disarmonica ma, al contrario, aderente ad una nuova estetica di stampo desertico ed intenzioni estatiche, pacificate. Il primo capitolo e le sue inguaribili, stordenti fascinazioni canicolari (ampiamente introdotte, peraltro, dal precedente “The Bees Made Honey In The Lion’s Skull”) avevano fatto ben sperare nella solidità e nella longevità dell’impianto base, accuratamente rinforzato dall’ingresso minimale e nirvanico del violoncello di Lori Goldston. Come per una ideale trilogia hegeliana, tuttavia, la seconda antitetica tappa funge da scoglio e fa inceppare il meccanismo che, prima, appariva ben avviato.

Il quadro – nomen omen, viste le pregevoli pitture del sempre curatissimo artwork – è quanto mai complesso nella sua ostentata (od ostinata?) monotonia, perché non sembra semplicissimo, né tantomeno immediato, arrivare a comprendere le cause di un’uscita così sottotono, gerarchicamente minore all’intero di una discografia già parecchio nutrita. Apparentemente, infatti, nulla sembra deviare dal corso di uno stile che, col tempo, è diventato sempre più modo di essere: chitarre riverberate e paradisiache, ritmiche funeree, aperture zen, intense contemplazioni psichedeliche d’elaborato sviluppo. Dove, allora, il fondamento di una percezione qualitativa sui generis negativa? La risposta può giungere, forse, mettendo a confronto zenit e nadir di “Angels Of Darkness, Demons Of Light 2”: “Sigil Of Brass” contiene, in un formato vagamente assimilabile a quello della canzone, la purezza cristallina di un suono lucidissimo, levigato, levitante in un vuoto atmosferico (quasi) assoluto, dove solo gli archi vibrano tangenzialmente e gli arpeggi della chitarra scaricano a terra ogni fibra residua di tensione. Splendida è, d’altro canto, la laboriosa diversificazione di sfumature su “A Multiplicity Of Doors”, tredici minuti in cui la melodrammatica fissità del violoncello viene lasciata libera di promanarsi, in ogni sua forma, attraverso le fessure dischiuse, con modalità ed accenti iterati di volta in volta circolarmente – proprio come se si trattasse di intraprendere una serie di svolte sempre uguali e sempre differenti… –, dalle percussioni.

Fin qui le note positive. Le altre note, invece, quelle musicali senso strictu, a forza di venire cristallizzate, forzosamente, in un’immobilità fuori da ogni concetto temporale, vengono snaturate di ogni particolarismo, finendo per suonare tutte appiattite le une sulle altre e rendendo l’ascolto, se non difficoltoso, almeno prolisso, a tratti esasperante. Nessuna invenzione spezza l’andatura mortuaria di “His Teeth Old Brightly Shine”, nove minuti di desert rock suonato sotto effetto di potentissimi barbiturici. Le tonalità appena più scure di “The Corascene Dog” reggono l’effetto sorpresa per qualche istante, prima di sbriciolarsi al suolo, vittime di una psichedelia mistica davvero troppo uguale a sé stessa. Manca la gigantesca suite finale, come nel capitolo antecedente, il cui ruolo viene ricoperto dai fantasmi inquieti del western narcolettico di “The Rakehell”, non privo di buoni spunti, ma stiracchiato all’inverosimile e, a fine ascolto, poco credibile.

Cerchiamo solo di confidare, nell’attesa dell’appendice conclusiva, in un momento di fisiologico appannamento.

V Voti

Voto degli utenti: 6,7/10 in media su 3 voti.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
ThirdEye 10/10

C Commenti

Ci sono 6 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

ozzy(d) alle 20:44 del 18 febbraio 2012 ha scritto:

come scrisse eddy cilia "dylan carlson non appartiene alla storia del rock, bensì alla sua cronaca nera". Si dovrebbe parlare di lui solo su cronaca vera o quarto grado, visto che la sua musica ha sempre fatto schifo.

Lezabeth Scott (ha votato 4 questo disco) alle 12:07 del 19 febbraio 2012 ha scritto:

Questi sò più di là che di qua.

Emiliano (ha votato 6 questo disco) alle 12:54 del 19 febbraio 2012 ha scritto:

L'ultimo disco di questi che mi è interesssato è stato Hex, poi il deserto. Quando personaggi eversivi come Carlson ricercano l'essenziale e abbandonano l'eversione per il tranquillo mestiere della borghesia indie, escono'ste robe. Comunque, almeno è un disco degli Earth.

Emiliano (ha votato 6 questo disco) alle 12:54 del 19 febbraio 2012 ha scritto:

L'ultimo disco di questi che mi è interesssato è stato Hex, poi il deserto. Quando personaggi eversivi come Carlson ricercano l'essenziale e abbandonano l'eversione per il tranquillo mestiere della borghesia indie, escono'ste robe. Comunque, almeno è un disco degli Earth.

Emiliano (ha votato 6 questo disco) alle 12:54 del 19 febbraio 2012 ha scritto:

L'ultimo disco di questi che mi è interesssato è stato Hex, poi il deserto. Quando personaggi eversivi come Carlson ricercano l'essenziale e abbandonano l'eversione per il tranquillo mestiere della borghesia indie, escono'ste robe. Comunque, almeno è un disco degli Earth.

ThirdEye (ha votato 10 questo disco) alle 6:06 del 8 ottobre 2012 ha scritto:

Non esageriamo. Bellissimo. Cronaca nera? Vai a leggere cosa Eddy Cilia ha scritto di questo nuovo album! Si è ricreduto, eccome! Poi senza Carlson, niente Drone Doom. Non vi garba il Drone? Sti cazzi, a me si