V Video

R Recensione

7,5/10

Steven Wilson

The Raven That Refused To Sing (And Other Stories)

Sempre più deciso a non disperdere le energie messe in campo nel corso del suo primo tour da solista, culminato con la pubblicazione del magistrale documento live "Get All You Deserve", e a non rompere le fila della superlativa line-up che l'ha accompagnato (riconfermati Marco Minnemann alla batteria, Nick Beggs al basso, al Chapman stick e alle voci, Adam Holzman alle tastiere e al piano, Theo Travis al flauto e al sax; viene lasciato a piedi il solo Niko Tsonev, mentre al suo posto sale sul bus il più talentuoso chitarrista Guthrie Govan), Steven Wilson mette subito a frutto le idee sviluppate durante il suo attuale girovagare in un contesto musicale decisamente più virtuoso di quanto i Porcupine Tree si siano mai fatti portatori.

Con le canzoni già in tasca, nel giro di pochi giorni di infuocate sessioni in studio a Los Angeles con Alan Parsons (proprio lui) alla regia, "The Raven That Refused To Sing (And Other Stories)" ha preso rapidamente forma. Quanto emerge è ancora di più ascrivibile al Progressive Rock “classicamente inteso” rispetto a quanto costruito nei due precedenti lavori in studio: Wilson prende le distanze anche dalle felici intuizioni trip-hop che pure con convinzione erano affiorate sia in “Insurgentes” del 2008 che in “Grace For Drowning” del 2011 (rispettivamente i brani Abandoner e Index), per buttarsi a capofitto nel mare primigenio, collocando le lancette della macchina del tempo fra il ‘70 e il ‘75 e provando a dimostrarci quanto quelle coordinate musicali possano ancora felicemente esprimersi nel presente, una volta transitate e centrifugate nel suo caleidoscopico “frullatore cerebrale”. Molto più marginale, rispetto a quanto accaduto nel precedente opus, il background Crimsoniano: ma solo perché stavolta la navigazione ha proceduto su altre rotte, fra quelle tracciate nei Seventies da altri “capitani coraggiosi”.

Luminol (che avevamo già incontrato in anteprima nel tour dello scorso anno) si apre con un intro classicamente Yes-oriented (basso e cori in grandissimo rilievo), a cui seguono sezioni che odorano, alternativamente, di Caravan, di jazz-rock, di Genesis (di cui nel finale si maneggiano le stesse atmosfere solenni di Watcher Of The Skies), per concludersi in una apoteosi prog, con strati spessissimi di Mellotron (ciò che sentite è prodotto da quello che Robert Fripp custodisce nella sua dimora), fantasmagorici giri di piano, incursioni di flauto e di sax, mentre una vertigine ritmica costruisce una scala che ascende verso le alte sfere celesti. Nella parte centrale, più sommessa, Wilson mette nuovamente in evidenza la sua passione per i giochi corali che furono di CSN&Y.

In Drive Home il mood generale (specialmente nella struttura, nel ritornello e nel liquido assolo posizionato in chiusura), ricorda davvero molto da vicino quella Shedmovedon che era su “Lightbulb Sun” dei Porcupine Tree, anche se qui è tutto più rallentato e avvolgente. L’introduzione ha un sapore che mescola suggestioni Genesisiane (o forse bisognerebbe dire Hackettiane) e altre tipicamente Wilsoniane. Non a caso questo è l’episodio dell’album più riconducibile a “ballad spaziali” come Stars Die e, in tempi recenti, come Deform To Form A Star (su “Grace For Drowning”). Ad ogni modo Drive Home poteva tranquillamente essere una nuova composizione della sua ex-compagine.

The Holy Drinker: contraddistinto da un incipit davvero ribollente dal sapore molto jazz-prog-rock  (sospeso fra Return To Forever, Mahavisnu Orchestra e Henry Cow) con Theo Travis in vena di ruggenti svisate al sax, si rivela essere il più “obliquo” brano del lavoro, solcato da cori suggestivi, con Adam Holzman davvero protagonista al piano elettrico e all'organo, in particolar modo nella sezione conclusiva. Nel corso dei suoi dieci minuti tornano alla mente i Deep Purple d'annata (specialmente quando le danze volgono al termine), anche se nei frangenti più intricati e magniloquenti a riecheggiare sono gli ELP.

In The Pin Drop si ha l’impressione, per l’andamento, per il ricorrente arpeggio di chitarra e per i cori, che il brano sia stato modellato su Drown With Me dei Porcupine Tree (presente sul bonus disc di “In Absentia”). Una sottile malinconia increspa tutta la vena melodia su cui il pezzo è costruito. Per forza di cose non è l’episodio più significativo del lavoro.

Con The Watchmaker (12 minuti...) ci troviamo di fronte al pezzo cardinale del lavoro. Ad una parte iniziale dal gusto Genesis (con riferimento particolare a For Absent Friends, anche se è tutto “Nursery Cryme” del 1971 ad essere preso come punto di riferimento), molto malinconica ed evanescente, segue una parte dove Wilson ci va giù pesante nella citazione dei Pink Floyd. In questo frangente, si ricalcano davvero troppo fedelmente sia Shine On You Crazy Diamond Pt.V (al sopraggiungere dell’assolo di sax), sia il magmatico intermezzo strumentale di Money. Successivamente il piano prende il sopravvento e le voci (sempre molto in stile West Coast, se non addirittura in odor di Beach Boys in controluce) si aprono a scenari invasi da un sole abbacinante. Il finale é tesissimo e punta diritto in direzione sia dei Van der Graaf Generator, sia dei Genesis di The Fountain Of Salmacis.

A questo punto viene da pensare che la title-track possa costituire il momento più “originale” dell’intero disco, anche se in essa si rinvengono le caratteristiche stilistiche di altre ballatone siderali del repertorio Wilsoniano (Collapse The Light Into Earth dei Porcupine Tree, ma anche il pezzo che da il titolo all’abum dell’esordio solista).  Ad un introspettivo inizio, basato su ipnotico fraseggio di piano – su cui si erge un canto dalle modalità non troppo differenti da quelle di Thom Yorke quando è inarcato sui tasti di ebano e avorio – subentrano gli archi che “aprono” il brano verso un finale “ascendente” al modo in cui lo può essere una Awaken o una Starship Trooper degli Yes, tanto per proporre un vago esempio.

Non è dato capire quanto Wilson abbia delegato al nuovo chitarrista, gli oneri che in passato spettavano a lui: a giudicare dai video delle sessioni di registrazione messi on-line sul sito ufficiale, sembra sempre più chiaro che l’arguto musicista si stia sempre più ritagliando il ruolo di direttore d’orchestra dei professionisti chiamati a dar voce alle sue composizioni. Anche perché gli assoli di chitarra sono divenuti sempre più complessi di quelli che popolavano i suoi precedenti lavori e dunque, per quanto Wilson sia un ispirato e preparato strumentista, difficilmente potrebbe condurre le danze in questi panorami maggiormente protesi al virtuosismo.

E ora viene il compito più difficile: dare una quotazione d’insieme ad un album (eccezionalmente) suonato e composto per soddisfare qualunque essere umano esiliato da questa terra intorno al 1975 e ritornato solo oggi nel suo pianeta natio. Ricordate il film “Goodbye, Lenin!” nel quale per non traumatizzare la madre ridestata da un lungo coma, il figlio si ingegna a ricostruire le location di vita quotidiana della Berlino prima della caduta del muro? Ecco, Steven Wilson compie un’operazione pressoché analoga (anche se con molto meno ironia), realizzando un’opera di rara precisione nella ricostruzione di un’era musicale e riuscendoci meglio di chiunque sia cimentato in un simile sforzo negli ultimi 30 anni. E, sebbene il livello di scrittura sia comunque molto alto, le citazioni e i riferimenti si sprecano. E così, a chiunque sia vissuto dei grandi capolavori degli Anni ’70, in diretta o in differita, risulterà inizialmente difficile concentrarsi nell’immanente flusso sonoro, trovandosi a rincorrere i tanti echi che ad ogni piega si rivelano all’ascolto. Tutti coloro che invece, per la giovane età ma anche per altre ragioni, non siano così avvezzi con quel mondo e abbiano voglia di attraversarlo, allora oggi scopriranno di avere a disposizione una aggiornatissima mappa per guidarli nell’impresa. La malia di “The Raven That Refused To Sing (And Other Stories)” è talmente ben ordita da insinuarsi, anche al di là di ogni reticenza, di ogni ragionevole dubbio: così pur essendo tangibili i limiti creativi di un album siffatto, il suo “meraviglioso peso” tende a rivelarsi un fardello di cui è godurioso farsi carico. Nei momenti in cui ci si abbandona alla forza evocativa e alla fascinazione di questo “sunto (incompleto) della storia del prog”, remore e incertezze sembrano dissolversi. Ma anche sottraendo le orecchie al canto delle sirene, la valutazione del disco non può essere penalizzata riconducendo il tutto a mera suggestione o a semplice nostalgia.

Ricordare quante volte fra fine Anni ’90 e inizio Anni 2000 Wilson si é prodigato nel mettere in guardia i suoi fan delle operazioni tese a restaurare pedissequamente l’era del prog e della psichedelia (in parte abiurando anche ciò che avevano fatto i Porcupine Tree di “The Sky Moves Sideways”), spingendoli a guardare avanti, induce ad esporre le odierne scelte del compositore inglese ad una pletora di interpretazioni (alcune delle quali non molto indulgenti), tenendo in considerazione che ormai è anche divenuto il guru  indiscusso dei mix 5.1, offrendo i suoi servigi a King Crimson, ELP, Caravan, Jethro Tull che hanno affidato a lui il “restauro” dei loro grandi capolavori.

Le esortazioni dello Steven Wilson trentenne probabilmente originavano dai timori di vedere annullata o anche solo ridimensionata la propria poliedrica valenza artistica (che perseguiva attraverso progetti anche decisamente poco consonanti fra loro: Bass Communion, I.E.M., no-man...), alla luce di una inclinazione passatista; timori verosimilmente avvalorati da una serie di atteggiamenti ben riscontrabili nelle tribune della musica indie, oggi come dieci, venti o trenta anni fa. Ho spesso potuto constatare – e come l’ho fatto io, l’avrà senz’altro fatto Wilson – quanto ferocemente vengano attaccati gli artisti che si arrischiano nel revival progressivo, rispetto ai tanti che, a partire da terreni poveri di humus compositivo, riescono a costruire altisonanti carriere di agricoltori sonori completamente all’ombra di alberi non meno secolari annaffiati di new-wave, elettronica, post-punk, industrial, black music, folk (americano o inglese). Eppure, in qualche misura, sembra sempre che chiunque si impegni – con intenzioni più o meno sincere – a ridare nuove prospettive di espressione alla stagione d’oro del Prog sia da squalificare a prescindere, riconducendo l’operazione all’edificazione di un tronfio “Jurassic Park”, rispetto alla genuinità dei “giardini d’infanzia” allestiti dalle band di grido che ci vengono segnalate dai siti “bene” dell’Inghilterra che conta.

Penso che l’era dei grandi mastodonti del prog (non tutti inclini ad adattarsi alle mutazioni ambientali), ultimatasi con il cataclisma causato dal meteorite punk, abbia spianato la strada alla congettura comunemente condivisa che chiunque torni ad assumere le sembianze di quegli arcaici e caracollanti esseri, meriti – oggi come allora – un analogo “abbattimento culturale”: e poco importa che a pensarla così siano anche alcuni fra gli stessi ex-giovani dei primi ’70, quello che prevale è che mediamente qualsiasi gruppo derivativo punk, sia degno di sopravvivere sempre e comunque a qualsiasi gruppo derivativo prog. La storia deve sempre ripetersi. L’epopea di quell’era deve essere (considerata) terminata, per principio e in virtù di un fine partita apocalittico. Personalmente ritengo che i risultati più avvincenti (per il cervello, per il cuore e per la storia della musica tutta) abbiano avuto luogo proprio quando alcune formazioni – This Heat e Cardiacs sono i nomi a me più cari – hanno smesso di ragionare per dicotomie dando il via ad azzardi acutissimi che magari non hanno pagato commercialmente, ma che hanno rifulso con pazzoidi e necessari lampi di genio.

Mentre resta solo una teoria non confermata, il fatto che colui che fu il leder dei Porcupine Tree, forse vista l’inutilità degli sforzi nel cercare di affrancarsi da etichette che ormai gli si erano cucite sulla pelle, abbia deciso di tornare in quel mare magnum, affrontando con inusitata consapevolezza le sue acque pericolose, fino a sondarlo a profondità mai raggiunte prima. Nel far ciò, l’imitazione degli archetipi non si esaurisce con la ripetizione di modelli, ma trova spazi di manovra per ristabilire un rapporto, per quanto possibile, incontaminato – quasi “fanciullesco” – con la musica delle origini, ossia quella che girava attorno ad un introverso bambino inglese.

Non nutro dubbio alcuno che i King Crimson di “The ConstruKction Of Light” (2000) come anche di “The Power To Believe” (2003) hanno vissuto su ben più distanti pianeti, sapendo edificare – alla fine del loro articolato excursus sonoro – forse la più moderna, alterata, ibridata ipotesi di “musica progressiva” che qualsiasi altro artista proveniente da quelle stesse lande, e con le stesse decadi sulle spalle, abbia mai portato alla luce: dunque Wilson da loro ha ben altro da imparare che il semplice sentirsi in comunione di spirito con il Fripp di oltre quaranta anni orsono. Tuttavia lo Steven Wilson del presente – che purtroppo non è più l’amato autore dell’ascetica magia dei no-man e che ingenuo non lo è di sicuro –  è di fatto oggi, nel secondo decennio del 2000, il più illustre, abile e scaltro interprete del progressive anni ’70, nonostante ciò costituisca in sé un paradosso. Certamente rimane un domatore che sa spettacolarmente destreggiarsi con leoni ben addestrati da altri Mastri circensi. Ma sono persuaso che quanto in futuro il chitarrista/compositore avrà da offrirci non si esaurirà su questo stesso terreno di gioco.

Nonostante ogni altra considerazione, il disco, un vero golem sonoro plasmato con un’arte dalla sapienza antica, attende solo che l’ascoltatore (e lui solo), in base alla sua storia e al suo grado di sintonia con la musica in esso rappresentata (e non tanto con il suo artefice), ne decreti il diritto all’esistenza lasciando intatte le lettere impresse sulla fronte di questa mitologica creatura (“emet”, vita, verità) oppure cancellando la vocale “e” (“met”, morte) e consegnandola alla terra e all’oblio.

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brian 5/10
rael 6,5/10
andy capp 6,5/10
Steven 7/10
REBBY 6,5/10
B-B-B 8/10
luca.r 7,5/10

C Commenti

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Metanoia70 alle 11:15 del 13 febbraio 2013 ha scritto:

In attesa dell'uscita del nuovo cd di Wilson, la recensione di Stefano offre, a mio avviso, un ottimo strumento preparatorio all'ascolto, in quanto aiuta a non scadere in facili semplificazioni (originale o déja vu?), ma a considerare come la derivatività del disco di Wilson non necessariamente debba essere presa come sterile scopiazzatura, ma come un tentativo serio - se riuscito o meno ciascuno dirà la sua - di esprimere lo spirito della tradizione prog anglosassone, mostrandone tutta l'attualità. Anche perché, se proprio si vuole parlare di 'scopiazzatura', bisogna sempre ricordarsi che non è affatto scontato saper copiare bene; infatti, solo chi ha fatto propria una certa tradizione (nel nostro caso il prog anglosassone), assimilandola profondamente, può riesprimerla adeguatamente; quanti innumerevoli tentativi degli ultimi anni di attingere al prog si sono rivelati goffe e pacchiane scimmiottature? Quello che potremmo chiederci, quando ascolteremo il lavoro di Wilson, sarà: al di là delle tante citazioni presenti nei brani, Steven è riuscito a ricreare quell'atmosfera magica delle sonorità prog? E' riuscito a rinverdire quelle visioni oniriche e quegli stati emotivi che, IMHO, solo il prog riesce a fare?

Utente non più registrato alle 14:17 del 13 febbraio 2013 ha scritto:

Ciao Stefano, come promesso ho letto con molta attenzione la tua ottima recensione, ma naturalmente potrò essere più preciso una volta che lo avrò ascoltato (l'ho ordinato a dicembre e fra pochi giorni sarà mio...).

Devo dire che mi trovo completamente d'accordo con te (ma anche con metanoia, gran bel nome...) quando scrivi che altri gruppi che si rifanno "spudoratamente" ad altri generi musicali, vengono visti di buon occhio, ed anche in questo sito ci sono molti esempi.

Così come altri gruppi che bazzicano il prog sono stati incensati - non SW - e ti ho già fatto un riferimento ben preciso...

Comunque il fatto che nella tua rece il termine metal non ha trovato spazio, per me è già una gran cosa...

Sono convinto che SW abbia tutte le capacità per andare in qualunque direzione musicale, ma con dei saldissimi punti fermi, e il futuro lo dimostrerà...

Resta il fatto che da una ventina d'anni a questa parte sia ancora il NUMERO UNO di un certo tipo di musica...

A presto

swansong alle 19:12 del 14 febbraio 2013 ha scritto:

"collocando le lancette della macchina del tempo fra il ‘70 e il ‘75" hum hum yes!!...sto già godendo!

skyreader, autore, alle 20:14 del 15 febbraio 2013 ha scritto:

...resisti, ormai il 25 Febbraio è imminente!

Utente non più registrato alle 14:06 del 26 febbraio 2013 ha scritto:

La mia PERSONALE formazione musicale si è indirizzata fin da ragazzo verso il prog-rock; una sorta di "carbonaro" in mezzo a chi ascoltava sempre e solo altri generi musicali... e fin dai suoi esordi ho sempre seguito il personaggio Steven Wilson...

Come ampiamente previsto, ancora una volta rimango sbalordito da un suo album. L’asticella è stata nuovamente spostata, con successo, gusto e tecnica. La coesione dell'ottima band che SW ha avuto la lungimiranza di coinvolgere, è un’indubbia "arma" in più a disposizione di uno dei musicisti più geniali dei nostri giorni.

Il tentativo di spiegare a parole un’opera musicale (o di altro genere) può alle volte risultare fuorviante. In questo disco io non ho trovato copia o citazione del glorioso passato prog, anche se lo si può intravedere in controluce.

Con Insurgentes SW ha tracciato una traiettoria alternativa a quella dei PT, con Grace For Drowning ha ampliato e recuperato gli spazi musicali che più lo hanno ispirato; questo ultimo tassello fa intuire che ci sono altri margini per l’esplorazione e l’inventiva, lungi dall'essere un semplice viaggio a bordo di una macchina del tempo con destinazione anni '70...

Le tracce più estese che compongono l'opera, hanno un impatto devastante e la potenza è tale da spazzare via (anche questo previsto...) dieci/quindici anni di prog moderno (e non solo...).

SW mette da parte il metal, ma ottiene ugualmente potenza ed incisività del suono...non ce n'è per nessuno...

Luminol già apprezzato dal vivo e sullo straordinario dvd, è guidato ed indirizzato dal corposo basso di Beggs, la colonna portante dell'impalcatura su cui poggia il pezzo e il nervoso riff principale, con lo splendido flauto di Travis che interseca il fitto dialogo ritmico tra Beggs e Minnemann, cui si aggiunge con classe il piano elettrico di Holzman.

La parte strumentale si spiega tra progressioni di accordi chitarristici e fraseggi di piano elettrico. L'atmosfera improvvisamente cambia e diventa rarefatta, la voce sognante di SW è accompagnata da alcuni accordi di chitarra. Lo scenario cambia più volte: l'intervento di piano “jazzy” nella seconda parte del brano oppure il solo breve ma fulminante della chitarra di Govan poco prima della chiusura. Brano eccezionale ulteriormente migliorato.

Drive Home richiama lo SW più malinconico e nostalgico ed ha una grandissima forza sul piano emozionale. Ottimo il solo di Govan, che gronda vera e propria magia.

The Holy Drinker invece è cupa, mette immediatamente in evidenza il notevole affiatamento della ritmica. La voce di Wilson porta un pò di luce in un’atmosfera oscura, supportata da un deciso ingresso della chitarra; lampi di luce, in un susseguirsi di picchi e cadute vertiginose cui Wilson ci ha abituato. L’organo dark memore dei VdGG , nella parte conclusiva sprigiona inquietudine e drammaticità.

The Pin Drop, è più immediata e diretta; la coralità del canto ed il crescendo ispirato della musica, ne fanno un gioiello e l’intervento della chitarra ne ribadisce l’epicità.

The Watchmaker ha un mood molto nostalgico e triste; la tela è perennemente fatta e disfatta, in un gioco senza fine. Il brano si anima nell'intermezzo con l’intervento di Govan. La seconda parte si trasforma in un'ariosa ballad per pianoforte, concludendosi in modo opposto all'apertura: dura e apocalittica, con la chitarra distorta e il mellotron angoscioso.

The Raven That Refused To Sing ha un andamento lento e solenne, una sensazione d’ineluttabilità, quasi trascendente ed una parte finale maestosa nella sua tristezza. Un capolavoro di sinergia tra musica e parole, una celebrazione di un modo di fare musica estinto che artisti come SW fortunatamente tengono "in vita" in nome della qualità e dell’arte.

Non mi resta che continuare a deliziarmi con l'ascolto di questo meraviglioso disco e...

attendere pazientemente l'inizio del concerto...dove sarà presentato un brano del passato remoto dei Porcupine Tree...

Utente non più registrato alle 15:03 del 26 febbraio 2013 ha scritto:

Aggiungo che probabilmente entro la fine dell'anno uscirà forse un ep contenente alcuni brani che non hanno trovato posto sul disco, tra cui il brano Birthday Party. Forse anche la pubblicazione di un nuovo dvd tratto dal tour in partenza.

Il brano dei PT che suoneranno dal vivo potrebbe essere moonloop o radioactive toy.

A maggio uscirà il prossimo dei Blackfield che SW ha prodotto e mixato, oltre a cantare e suonare, ma il suo coinvolgimento, come nel precedente sarà molto ridotto.

skyreader, autore, alle 20:40 del 28 febbraio 2013 ha scritto:

...penso tu abbia preso le ultime informazioni dalla bellissima videointervista apparsa sul sito www.porcupinetree.it e raccolta da Evaristo Salvi e Domizia Parri (Coma Divine PT Italy). Chi non l'avesse vista può recuperare qui: http://www.porcupinetree.it/index.php?section=433

Marco_Biasio (ha votato 5 questo disco) alle 22:38 del 13 marzo 2013 ha scritto:

Di disco in disco, Wilson scivola verso un progressive che è sempre più regressive. Se in Grace For Drowning si poteva trovare interessante il tentativo di dare sfogo a tutte le proprie passioni adolescenziali, qui fa impressione il conservatorismo con il quale plasma una materia musicale che - nonostante la band preparatissima che si trova a disposizione, o forse per quello - è sempre più rigida e monocromatica, definitivamente lontana dallo spirito dei primi PT. Non ci fosse The Pin Drop, che è proprio una bella canzone (belli e creativi anche gli assoli, il secondo in maniera particolare) si avrebbe il vuoto pressoché pneumatico. Orrendo - davvero orrendo - il patetismo della title-track, con il resto che traccheggia tra muffa pre-'75 e muscolatura da ultimi Opeth (anch'essi pessimi). E mi stupisce che Stefano, che usa termini non proprio gentili per descrivere i brani del disco, arrivi poi ad un voto così alto.

skyreader, autore, alle 22:07 del 14 marzo 2013 ha scritto:

Chissà quante volte, caro il mio Marco, ho avanzato la proposta di togliere i voti che su SdM, come su altri siti e riviste, tolgono forza alle parole. Alle mie come alle tue, come a quelle di chiunque scribacchino di una materia fatta di note e di emozioni e che di per sé poco si arricchisce di tutte le chiacchiere che ne facciamo e che però ci piace tanto fare… ;o)

Per fortuna qualche rivista (e qualche sito) ha deciso di fare questo salto nel vuoto, rinunciando al vessillo del voto.

Per questo, per capire se un disco fa per me non mi lascio mai abbagliare da un “numero”, come fosse un contrassegno esemplificativo di chissà quale verità. Facendo salva la buona fede delle recensioni (in termini di veridicità e di attinenza alla materia musicale), trovo dischi a cui è stato attribuito un 8.5 che proprio non mi riservano sorprese o illuminazioni (lo capisco dall’enfasi posta dell’articolista su determinati elementi che non sento in sintonia) e dischi che prendono 5 ma che, indagando sulla ritrosia del recensore nel dare di più, mi fanno capire che i principi costituenti “colpevolizzati” o fustigati sono invece per me poli di attrazione. Accadrà lo stesso a chi legge mie cose… Ma è più qualcosa che ha che fare con la capacità di lettura che non con la capacità di scrittura.

Credo di aver messo nelle parole usate in “The Raven…” tutti i miei sentimenti relativi al disco: avrò forse un “cuore semplice” ma, pur essendomi chiare le macchinazioni che ci possono essere dietro ad un album così studiato a tavolino, “The Raven…” mi coinvolge, mi entusiasma e ciò che ne scaturisce é, a differenza ti tante altre mediocre rievocazioni storiche, in perfetta consonanza con il bagaglio emozionale che ha animato la mia adolescenza.

Il voto, ossia il numeraccio che si pretende debba incarnare il valore di un disco, forse vuole solo manifestare ciò. Se dunque almeno ti sei ritrovato nelle mie descrizioni, nelle mie parole, vuol dire che il mio scopo l’ho raggiunto. Per il resto oltre a concordare con te che “Insurgentes” è forse il miglior disco fra quelli solisti di Wilson e quelli dei PT da parecchi anni a questa parte, aggiungo una cosa sola... Fuck the vote!!!

Marco_Biasio (ha votato 5 questo disco) alle 17:00 del 15 marzo 2013 ha scritto:

Sì, brutta cosa, i voti. Naturalmente, comunque, la mia era una domanda più retorica che altro, e ho capito bene perché il voto alla fine sia così alto - il curriculum non lascia scampo! Trovo solo fuorviante, sempre più fuorviante definire "genio" un musicista che, per quanto competente, sta passando sempre più tempo (e sempre più a lungo) dentro il solito orticello devastato dal tempo. L'anno scorso Storm Corrosion, disco con Akerfeldt degli Opeth, è stato la perfetta istantanea del baratro creativo nel quale, IMHO, sono caduti entrambi i musicisti... Tant'è vero che ha sollevato perplessità (eufemismo) quasi unanimi. Dischi del genere, a gittata continua, sono (a mio modo di vedere, anche fin troppo evidentemente...) una maniera per tenere sull'attenti la frangia di fan oltranzisti. Che difatti rispondono, sempre, e con esagerazioni sempre più grosse...

Utente non più registrato alle 16:33 del 19 marzo 2013 ha scritto:

A mio parere, si rischia di arrivare al punto di credere, con una buona dose di presunzione, che il proprio giudizio su un disco recensito o commentato, sia qualcosa di "definitivo" e che magari possa valere per tutti...

Spesso non mi trovo d'accordo con i giudizi (numerici o a parole...) espressi da taluni anche in questo sito...dischi che magari vengono esaltati, portatori di chissà quale novità, ma che poi in concreto non mi smuovono una cellula...

La cosa più semplice e banale sarebbe smettere di ascoltare un musicista che per qualunque ragione non rientri nei nostri canoni, e dedicarsi ad altro (che qualcuno, a sua volta, potrà trovare orrendo...), e lasciare che venga seguito solo dai fan oltranzisti ed esagerati...cioè quello che accade ad ognuno...e ad ognuno il suo...

Dr.Paul alle 17:25 del 19 marzo 2013 ha scritto:

"La cosa più semplice e banale sarebbe smettere di ascoltare un musicista che per qualunque ragione non rientri nei nostri canoni, e dedicarsi ad altro (che qualcuno, a sua volta, potrà trovare orrendo...), e lasciare che venga seguito solo dai fan oltranzisti ed esagerati"

quindi chiunque stronca (recensore o commentatore) un qualsiasi disco lo fa perchè non rientra nei propri canoni? ma come si fa a dire una cosa del genere perdona! meglio dedicarsi ad altro? sì come hai fatto tu sotto le rece di arcade fire e patrick wolf intendi? se tanto mi dà tanto il paragone è calzante: se non è il tuo genere xche non sei passato oltre? forse tu puoi farlo xche ascolti di tutto e per gli altri questa regola non vale?

la verità è che wilson non indovina un disco da una dozzina d'anni, sforna veramente solo cose per fan mai domi.

Marco_Biasio (ha votato 5 questo disco) alle 15:02 del 20 marzo 2013 ha scritto:

Mai detto questo. Ed è inevitabile che mi resti un po' di curiosità verso Wilson, se ogni sua benedetta uscita è battezzata come il capolavoro del millennio. Per inciso, io non sono antiwilsoniano (per me le quotazioni dei Porcupine Tree rimangono belle alte fino a In Absentia, anzi, fino a qualche episodio del tanto bistrattato Deadwing, e Insurgentes lo reputo un bel disco) e Paul è uno dei fan più tenaci dei PT novantiani, ergo...

Utente non più registrato alle 19:18 del 19 marzo 2013 ha scritto:

Pensavo di essere stato abbastanza chiaro...ma vedo che così non è...

Se mi fai l'es. di miei interventi negativi, beh! quelli da te citati io li ho lasciati perdere, eccome...son passato oltre, eccome...ho provato ad ascoltarli, non mi son piaciuti, punto e basta.

Se tu e/o altri stroncano un disco del genere, va bene, contenti voi...a me piace lo stesso eh! non cambio certo idea.

Mi sembra strano, se un genere o un musicista non piace, continuare in qualche modo a seguirlo, punto.

Ah finchè SW continuerà a fare dischi che a me piacciono, continuerò invece a seguirlo.

Stammi bene

Dr.Paul alle 11:17 del 20 marzo 2013 ha scritto:

"Mi sembra strano, se un genere o un musicista non piace, continuare in qualche modo a seguirlo, punto."

Ancora con questa storia, poi dicono che i progster....non c'è niente da fare, pensavo di essere stato abbastanza chiaro...ma vedo che così non è...

Utente non più registrato alle 12:00 del 20 marzo 2013 ha scritto:

Hai dimenticato ad ognuno il suo...ma non c'è niente da fare...

Utente non più registrato alle 20:25 del 20 marzo 2013 ha scritto:

Quello che realmente m'interessa...non è questa sterile ed inutile "conversazione", ma che il 28 marzo, data del concerto al Teatro Della Luna di Assago è ormai vicino...

Il teatro (sold out) può ospitare 1.730 spettatori; il palco ha la superficie record di 800 mq, il boccascena misura oltre 16 m...un luogo che potrebbe essere adatto per le riprese live...

swansong alle 12:29 del 21 marzo 2013 ha scritto:

Si VDGG bravo...infierisci va'? Mannaggia a te e a tutti i fortunati che ci saranno! Detto con affetto ovviamente...

Utente non più registrato alle 14:27 del 25 marzo 2013 ha scritto:

Steven Wilson, live at the Royal Festival Hall, London 4 Marzo 2013 Radioactive Toy

anche se, a mio parere, qui dovrebbe tenere un pò a freno l'estro di Govan...

Utente non più registrato alle 13:49 del 18 aprile 2013 ha scritto:

Venerdì 5 luglio al Pistoia Blues concerto di Steven Wilson e Van Der graaf Generator...

Video esclusivo di Steven Wilson ‘The Watchmaker’ registrato live a Neu-Isenberg, Germany il 23 Marzo 2013, diretto ed edito da Bernhard Baran.

REBBY (ha votato 6,5 questo disco) alle 8:44 del 6 giugno 2013 ha scritto:

Eh si, l'ascolto di questo album riporta a dischi editi dal '69 al '75 in ambito progressive e che hanno caratterizzato la mia adolescenza ghgh: ai King crimson (sia il primo che Red), ai Genesis (Nursery Crime), ai Pink Floyd (The dark side),..., non si può non concordare con Stefano (anche se di Canterbury a me son venuti subito in mente gli Hatfield and the north più che i Caravan, ma son sottigliezze).

In sintesi sei gustosi cocktail a base di centrifughe di frutti prog degli anni d'oro, creati da quello che è, quasi sicuramente, miglior discepolo degli anni post-decadenza. Meglio i long drink che gli short, specie the Holy drinker e The watchmaker che son quelli che piacciono a me eheh

Utente non più registrato alle 14:05 del 6 giugno 2013 ha scritto:

Impresa certamente non facile...non da tutti e non per tutti...

Utente non più registrato alle 20:08 del 29 agosto 2013 ha scritto:

La title track sul trailer di Pompei

Utente non più registrato alle 13:55 del 23 dicembre 2013 ha scritto:

L'anno è praticamente finito e per me (anche per moltissimi ascoltatori e molta critica - come ho scritto altrove inversamente proporzionale a questo sito - ma m'interessa fino ad un certo punto...) The Raven... è sicuramente il disco dell'anno.

Al secondo posto metterei Berserk! e al terzo Man & mith di Roy Harper.

Dr.Paul alle 15:03 del 23 dicembre 2013 ha scritto:

io invece ho letto decine di classifiche ma questo the raven è sempre assente o in posizioni di classifica innocue....certo non ho curiosato sul sito del fanclub.

Utente non più registrato alle 16:59 del 23 dicembre 2013 ha scritto:

Cerca bene, dai che anche tu ce la puoi fare...

Dr.Paul alle 22:24 del 23 dicembre 2013 ha scritto:

pitchfork best 50 niente, drowned in sound best 100 niente, allmusic best 50 niente, sdm 30esimo, kalporz best 20 niente. queste sono le testate più affidabili, mancano OR e SA, vedremo. ho provato anche classifiche di vecchi marchi gloriosi, the guardian best 50 niente, NME best 50 nisba, Mojo best 50 niente, rolling stone best 50 niente, Q best 50 niente, Uncut best 20 niente, panopticon top30 niente.

Cas alle 11:39 del 24 dicembre 2013 ha scritto:

sei in malafede: non hai cercato su metal hammer. lì wilson è in top10 in bella compagnia, con i grandissimi Black Sabbath e i divini Motorhead. ora però devo andare a svuotare il catetere, ghghghghg.

dai, si schersa ora pigliate per il culo me che ascolto solo robetta indie-brit zuccherosa.

Utente non più registrato alle 13:48 del 24 dicembre 2013 ha scritto:

Oddio PERSONALMENTE rabbrividisco anche per questa compagnia...ma questo è un'altro paio di maniche...

A dire il vero mancava anche tv sorrisi e canzoni e, se non sbaglio, anche telesette ha la sua classifica...oppure robetta come mucchio selvaggio o rockerilla...

Su queste "bibbie" (solo per qualcuno...) non si troverà mai un album come quello di Wilson, si sa o si fa finta di non saperlo, ma neanche gli altri due che ho citato...e se un giorno dovesse mai accadere, vorrà dire che SW, invece, ha fatto un passo falso...

Ma siccome qui è un chiodo fisso peggio di B. nei confronti dei pm di MI...

Marco_Biasio (ha votato 5 questo disco) alle 20:29 del 24 dicembre 2013 ha scritto:

Sì, però io non ho ancora capito in che classifica sia finito Wilson. Sono sincero.

zagor alle 13:57 del 26 dicembre 2013 ha scritto:

in quella di " tempi dispari e muffa.it" l'ho visto in top ten.

Utente non più registrato alle 1:22 del 24 dicembre 2013 ha scritto:

ahahahah dai continua continua...ma m'interessa fino ad un certo punto ti è chiaro?! PER ME invece?!...

Buona ricercahahahahah

Lezabeth Scott alle 14:15 del 24 dicembre 2013 ha scritto:

Io lo metto al secondo posto. Al primo le Pussy Riot. Band del decennio (che verrà) per me.

Utente non più registrato alle 20:59 del 26 dicembre 2013 ha scritto:

Che simpatia travolgente, che verve...eppure non era difficile da capire...

Però mi sbagliavo, pensavo che il vostro punto di riferimento fosse fuffa.it...vabbè

Dr.Paul alle 22:40 del 30 dicembre 2013 ha scritto:

aggiornamento in tempo reale: classifica ondarock best 50...niente wilson! nella classifica del forum invece è 32esimo ex aequo con james blake!

Giuseppe Ienopoli (ha votato 8,5 questo disco) alle 17:12 del 31 dicembre 2013 ha scritto:

... di ondarock non ci fidiamo neanche un po' ... !

Dr.Paul alle 16:26 del primo gennaio 2014 ha scritto:

non c'è neanche nei dischi dell'anno di indie-rock.it , non so più dove andare a cercare, sono finite le classifiche ita-usa-uk.

Lepo alle 15:15 del 2 gennaio 2014 ha scritto:

Ma come? E' in tutte le più prestigiose classifiche del '73, 'sto disco, dottore! Smettila di essere fazioso! XD

Giuseppe Ienopoli (ha votato 8,5 questo disco) alle 10:36 del 2 gennaio 2014 ha scritto:

... basterebbe solo il secondo posto di Lake Lezabeth Best per il riconoscimento del marchio di qualità!

... a volte la classifica di nicchia è preferibile ... meglio pochi ma buoni (?) ...

Giuseppe Ienopoli (ha votato 8,5 questo disco) alle 12:15 del 3 gennaio 2014 ha scritto:

... più in là si scoprirà pure che Steven altro non è che il frutto non voluto di una sveltina notturna, nella seconda metà degli anni sessanta, fra Steve Hackett e una sorella prog di Fripp! ... sarà la quadratura del cerchio (?!

Utente non più registrato alle 18:19 del 7 gennaio 2014 ha scritto:

Immagino Giuseppe che tu sappia che SW ha collaborato più volte con Fripp, mentre altri al massimo hanno potuto pulire il palco dei KC o campionare malamente brani...guarda un pò...

Utente non più registrato alle 18:07 del 7 gennaio 2014 ha scritto:

Peggio di ragazzetti dispettosi e viziati...l'essenza (si fa per dire) del 90% di questo sito...

Cas alle 19:25 del 7 gennaio 2014 ha scritto:

e il restante 10%?

pinKCrimson (ha votato 9 questo disco) alle 11:46 del 17 marzo 2015 ha scritto:

Grandissimo album !! Seguo Steven Wilson da una vita...l'ho visto per la prima volta live a Roma nel '97 (al Frontiera), una delle date che poi sarebbe diventata "Coma Divine: Live in Rome", il suo percorso artistico è interessantissimo, una continua evoluzione e cambiamento. Poi l'incontro con Robert Fripp in primis e con tanti altri artisti che si sono avvalsi del suo fine lavoro in studio lo hanno portato a livelli eccelsi. Questo "The Raven..." è uno splendore e non so se Wilson riuscirà a superare questo album...per lo meno alle orecchie di un vecchio progster come me !! "Hand. Cannot. Erase" è molto molto bello... ma un po dietro "The Raven...".

Utente non più registrato alle 14:05 del 17 marzo 2015 ha scritto:

Ciao, il mio personalissimo benvenuto...

Se hai voglia prova a leggere le 2 righe che ho buttato giù su HCE nel mio post sul forum, SW nuovo album e tour e "confrontiamo " le nostre impressioni...

pinKCrimson (ha votato 9 questo disco) alle 12:11 del 19 marzo 2015 ha scritto:

Grazie per il tuo benvenuto, VDGG. Andrò sicuramente a guardare il tuo post (ammetto di non aver ancora esplorato il forum. Mi piacerebbe sapere anche se si possono pubblicare recensioni e quali sono le regole e le direttive base...), SW è tra i miei artisti preferiti.

Se nel forum c'è un luogo idoneo magari posto una lista dei miei artisti preferiti.

Ad ogni modo, curiosando tra le recensioni, mi sembra di avere gusti simili ai tuoi (fanno eccezione i Pink Floyd che non ho mai considerato prog, ma questo è il bello della musica ed il bello di un sano e cordiale scambio di opinioni sul web ). Ciao !

Utente non più registrato alle 14:23 del 19 marzo 2015 ha scritto:

Mi fa molto piacere...

Non sono pratico, anche se all'inizio ci provai, ma in alto a dx trovi il box con varie voci, tra le quali le recensioni.

Per il forum, se non ricordo male, devi iscriverti per accedere, poi potrai intervenire su argomenti già presenti o crearne di nuovi.

Ciao, alla prossima.