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R Recensione

7/10

Engineers

In Praise Of More

Ecco un’altra di quelle band che non ti aspetti, specialmente se credi di esserti fatto un’idea dei lidi sonori della KScope (la label dell’era “intermedia” dei Porcupine Tree, dei no-man, dei Pineapple Thief, degli Anathema, tanto per intenderci). Un’ondata di adulterato pop-rock elettronico che sommerge gli impreparati. Nel flusso musicale di canzoni che rasentano la perfezione formale, tante sagome paiono riconoscibili eppure appena sembra di averle messe a fuoco, sfuggono via impalpabili: Air, Massive Attack, Notwist, Radiohead, Animal Collective, Cocteau Twins, Depeche Mode (il lead singer degli Engineers viene da Basildon), Tarwater prendono forma come fugaci fantasmi che mutano aspetto di secondo in secondo.

Forse l’unica band che sembra veramente afferrabile sembra proprio quella del duo francese, specialmente in virtù di un uso “doppiato” delle voci (quasi sempre filtrate) e nel saper coniugare il gusto per il leggero e per l’ingegno, in un unico formidabile innesto. Las Vega è veramente un brano esemplare in questo senso. Qui il contesto generale comunque è decisamente più affine ad un alt-techno-pop-rock con striature di psichedelia shoegaze e attitudine kraut: tutto scorre senza attrito, la superficie è liscia, sebbene il condotto attraverso il quale fluisce la musica degli Engineers sia labirintico. Infatti chiedersi se una musica concepita per scorrere sia in grado di lasciare il segno trova risposta nell’ascolto di questo “In Praise of More” nel turbinio emozionale a cui induce. Certo, riesce difficile giustificare l’eco mediatico che alcuni gruppi indie riescono ad ottenere, gruppi con creatività decisamente inferiore ad esempio a questi Engineers, che forse hanno il limite di nascere sono una stella dalle coordinate più difficilmente calcolabili. Chissà. 

A quindici mesi appena dal secondo apprezzato album di “Three Fact Fader”, ritroviamo la formazione inglese ancora concentrata sulla propria formula compositiva nonostante alcuni significativi assestamenti nella line-up (nuova sezione ritmica, cambio di ruolo per il bassista ora chitarrista, ingresso in pianta stabile del tastierista che dal vivo accompagnava la band): immediatezza come sinonimo di urgenza, ma allo stesso tempo arguta strategia per assediare i sensi, irretendoli in una trama elaborata ed intricata. E proprio la title-track potrebbe di diventare il manifesto di questo mondo musicale passato al frullatore con l’aggiunta di additivi chimici dagli effetti imprevedibili.

Li seguiremo con interesse, nella speranza di poter capire come la loro funambolica arte mutante possa prendere vita anche su di un palco. Dell’album esiste anche una edizione con bonus cd contenente le versioni strumentali dei brani.

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C Commenti

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REBBY alle 9:35 del 9 dicembre 2010 ha scritto:

Ecco un altro di quei dischi che non mi aspettavo, specialmente perchè dopo aver ascoltato più di un centinaio di album del 2010 pensavo di essermi fatto un'idea dei lidi sonori di quest'annata (eheh). Mi pare evidente che la mole infinita di proposte musicali che si possono recepire oggi non può essere paragonata minimamente a quelle, più selezionate ed individuabili, che uscivano quando io ero ragazzo. Ed evitiamo di parlare della mescolanza di generi, di stili, di scuole musicali e di pensiero, che tanti anni fa erano sinonimo di originalità (e spesso di qualità), mentre oggi sono (esagero) quasi la norma (anche se non sempre con gli stessi risultati passati), fatto che unito alla bulimia delle uscite genera ancora più difficoltà ad individuare i "propri dischi". Negli anni 70 bastava capire quali erano le riviste, i critici ed i contesti musicali che si ritenevano affini per riuscire a seguire in diretta quasi tutta la musica che più ci piaceva. Gli anni 80 hanno cominciato a complicare un poco le cose, ma insomma era ancora umanamente possibile districarsi. Negli anni 90 ho per lo più "dormito", ma è stato un "problema" mio (eheh). In questo nuovo millenio in cui internet ha preso il sopravvento ed in teoria si dovrebbe essere più informati, la mole di informazioni cresce con velocità così esponenziale che alla fine si rischia di essere più ignoranti. Io non conoscevo questi Engineers (è il terzo disco, dice Stefano) ed oggi mi pare un "peccato", perchè i primi ascolti che gli ho dedicato mi hanno svelato una band interessante che, almeno in quest'opera, propone una musica di mio gusto, con un cantato dolce e un accompagnamento musicale semplice, ma complesso (eehh! ma che è? eheh). Mi unisco quindi a Stefano nel consiglio di seguire questo gruppo (se non dal vivo almeno su impianto hi-fi), se vi pare. Ah, il brano del video qui sopra (per me gustoso eh) si discosta abbastanza dal resto dell'album.

Utente non più registrato alle 12:10 del 4 marzo 2012 ha scritto:

Album piacevole, sembra di ascoltare il versante più "romantico" dei Porcupine Tree.