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R Recensione

7/10

Lucertulas

Anatomyak

La prima ragione per non dirvi che “Anatomyak” dei Lucertulas è, a quattro anni di distanza dal pluricelebrato “The Brawl”, il terzo full length della band con tale monicker, sontuosa riconferma di uno dei migliori power trio dello Stivale in ambito noise è che, fondamentalmente, lo dicono tutti. Pare che la biografia, o la presunta tale, sia divenuto l’unico ambito di discussione e riflessione critica su un percorso, quello dei Lucertulas, invero assai più peculiare e ricco di aneddotica. Il solo fatto che così spesso si ponga l’accento sulla durata dello iato, sull’inusitata lunghezza del processo creativo (che, alla fine, non ha portato alla luce un opus magnum, ma un “normale” disco di mezz’ora scarsa) la dice lunga sulla fama che i tre ragazzi veneziani hanno saputo costruirsi, sulle aspettative che hanno saputo far crescere in chi li seguiva, concerto per concerto, vinile dopo vinile, in Italia e all’estero. Ci si sbarazzi, allora, del peso del passato: si eluda il futuro; si parli, finalmente, del presente.

La seconda ragione per non dirvi che “Anatomyak” dei Lucertulas è, a quattro anni di distanza dal pluricelebrato “The Brawl”, il terzo full length della band con tale monicker, sontuosa riconferma di uno dei migliori power trio dello Stivale in ambito noise è che, fondamentalmente, non è vero. La falla, ci si intenda, non sta nell’intero ragionamento, ma nella sua ultima parte. D’accordo: la sberla metallica che assale da subito, nel suo epico incalzare post-core venato di striature lizardiane, nell’attacco dirompente di “A Good Father” può trarre, e molto, in inganno. Non passa nemmeno un minuto, tuttavia, che il chitarrismo di Christian Zandonella (un meccanismo precisissimo, implacabile) già comincia ad incrinarsi, a rivoltolarsi su sé stesso, a sprizzare scintille math che deragliano, poi, in un finale post-industriale, convulso. Anche “Sickness” si erge, imperiosa, tra rottami ed aborti sonici, come dei Big Black abbruttiti dagli Einstürzende Neubauten: è sufficiente che Luca Bottigliero imprima un cambio di marcia dietro le pelli, tuttavia, ed ecco manifestarsi i Lucertulas inflanellati, fantasmi grunge corrotti e pencolanti stritolati tra uno stop&go e l’altro. “Beggars” regge l’impatto fisico per un po’, dopodiché si scolla, rumorosamente, e si perde tra le stringhe di un’heavy-psichedelia gargantuesca e stralunata, una nebulosa che – al suo punto massimo di ebollizione – divampa nella rilettura di “7”, ustionante saggio di post-core astrale dritto da “Tragol De Rova”.

L’ultima ragione per non dirvi che “Anatomyak” dei Lucertulas è, a quattro anni di distanza dal pluricelebrato “The Brawl”, il terzo full length della band con tale monicker, sontuosa riconferma di uno dei migliori power trio dello Stivale in ambito noise è che, fondamentalmente, descrizioni così se ne trovano a bizzeffe, e noi stiamo parlando di un gruppo e di un disco, in realtà, non comuni. Farsi traghettare da “Caronte” per credere: il taglio sulla tela della situazione, un assalto che si disintegra contro il muro impenetrabile di un unico giro reiterato sino alla nausea, con sovrapposizione pressoché inappuntabile e, come tale, realmente devastante.

Siete pure feticisti? Macina Dischi, che coproduce il disco con Robot Radio, vi ha preparato la sorpresa dell’anno: cinquecento copie numerate con cover in alluminio anodizzato (“Le Nozze Chimiche” degli Squadra Omega vi suggerisce qualcosa?) e punzonatura a mano. Crudo e freddo, ma passionale: come la forza della rivoluzione.

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