V Video

R Recensione

7,5/10

Muletrain

CrashbeaT

Adesso, finalmente, capisco.  

Posso immaginarmi la scena dell’adolescente americano medio nel 1981, tutto intento a trafficare con il suo mangiacassette modificato – o, per i più fortunati, addirittura il giradischi – colpito dall’immagine di copertina di un vetro infranto da un proiettile. In alto, Black Flag. In basso, a sinistra, “Damaged”. Dentro, un capolavoro dell’hardcore anni ’80 e, più nello specifico, la visionarietà di una vera e propria rifondazione chitarristica unita alla furia e alla concisione tipiche del genere.

Tradotto: quel pazzo di Greg Ginn era un genio assoluto, che ha riscritto da capo le regole del chitarrismo rock per poi svanire nel nulla, come il fuoco della band e come, forse, avrebbe voluto. Ma tutto ciò era ancora sconosciuto al nostro giovane, a cui importavano solamente gli slogan ad effetto, come “we are tired of your abuse” (“Rise Above”, immensa!), sui quali alzare i pugni ed agitarsi convulsamente, oppure il sentirsi dire che la “tartaruga” sfoderata da uno come Iggy portava a non avere un cazzo da fare (“Six Pack”, appunto). Sullo sfondo, “TV party tonight!” (“TV Party”). E fu il delirio.  

Ora, forse a qualcuno sembrerà un’assoluta eresia, ma la prima cosa a cui ho pensato, completato l’ascolto di “CrashbeaT”, terzo disco degli iberici Muletrain, è stata l’immensa sorpresa per aver trovato qualcosa che potesse ricordarmi, anche lontanamente, la furia delle bandiere nere. Uno shock mentale che si è diffuso ben presto in tutto il corpo e se n’è andato veloce com’era arrivato, lasciandosi dietro solo un senso di profonda esaltazione. Trascinandoci dietro, fino in fondo, lo spirito dell’american hardcore, come lo vorrebbe Mr. Steven Blush, faremo i sinottici: tredici pezzi, venticinque minuti totali di durata, una copertina spettacolare. Tecnica e rabbia, brevità ed incisione, sudore e classe, riff e voci, punk e hardcore, un oceano di idee, spunti, armonie che nemmeno un gruppo in decadi e decadi. Fate voi i vostri conti.  

Ci saranno, sicuramente, i soliti critici imbolsiti dall’età o gli eruditi, incapaci di riconoscere un mi da un do, che attaccheranno il pacchetto in quanto privo di quella sporcizia ed malasanità do it yourself aleggiante in quantità, al contrario, nella produzione dei californiani. Sappiate che, in parte, avranno ragione: i suoni sono chiaramente puliti, chiari e pieni, lo scream viene talvolta traversato da ottime rinfrescate melodiche (“I Want Rejection”, l’ottima “Urgency”), e più che sentore di strada si avverte, fortemente, una genealogia cosmopolita, caldeggiata da condizioni totalmente differenti rispetto a quelle che scatenarono l’uragano hc, trent’anni fa (“Out Of My Mind”, oi! con cori di rinforzo e seghetto andaluso nel mezzo). Per lo stesso motivo, però, spiegateci il nichilismo di “Sick City”, quasi Minor Threat, il malato rock’n’roll di “It’s Progress” – notare, entrambe inferiori al minuto – e il frangersi street di “Warned”, tortuosa corrida con assolo conclusivo. Diventa difficile, vero?  

Ne ero certo. È un affare complicato, così come sembrava a me. Almeno all’inizio: perché, poi, il bandolo della matassa diviene così evidente da rendere assolutamente pleonastica ogni ulteriore digressione. Scordatevi ogni intellettualismo, ogni appendice fine a sé stessa: questa è musica che nasce, vive e si alimenta al massimo volume possibile. Anche quando, magari, il piede non sembra spingere sull’acceleratore, e le atmosfere sfumano verso un garage-billy caciarone e divertente (“White Lies”), o il tutto degenera in una poltiglia sporca e sgangherata che suona come se gli Hellacopters inghiottissero, tutto d’un fiato, i Motörhead (o il contrario? Vabbè, in ogni caso lo potete sentire in “Do Something”). Salvo poi tornare a fare, di nuovo, i brutti e cattivi del quartiere (“Here’s Anxiety”, la sguaiata “Give It Up”). Ah, dimenticavo: giusto per completare la serie di “affinità & eventuali”, incidono per la Beat Generation. Titolo del disco, “CrashbeaT”. Evviva.  

Riuscite, finalmente, a capire anche voi?

V Voti

Voto degli utenti: 6/10 in media su 2 voti.
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REBBY 5/10

C Commenti

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Alessandro Pascale (ha votato 7 questo disco) alle 11:00 del 24 luglio 2009 ha scritto:

capisco

disco hardcore notevole altrochè! Nessun brano sopra i tre minuti e atmosfera generale da controcoglioni purissimi! Recensione perfetta che coglie nel segno! Voto leggermente inferiore (sarebbe un 7 abbondante cmq), probabilmente dovuto al fatto che non riesco più a godermi l'hardcore come quando ero giovane ahah