Queens of the Stone Age
Era Vulgaris
Due anni fa ci eravamo augurati che Lullabies To Paralyze non fosse lassestamento definitivo del sound del gruppo. Oggi, dopo aver sentito Era Vulgaris, si può affermare tranquillamente che di cambiamenti ce ne sono stati abbastanza per non rimanere delusi.
Premessa: Homme è chiaramente un volpone e sa come attirare lattenzione mediatica su di sé. Ha chiamato a collaborare per il disco artisti del calibro di Mark Lanegan (e questa non è una novità), Trent Reznor e Julian Casablancas.
Bene. Trent viene coinvolto nel pezzo omonimo Era Vulgaris, che alla fine è stato pubblicato solo nelle versioni inglese e giapponese e che tra laltro è un brano a dir poco telefonato.
Casablancas compare come voce e chitarra in Sick Sick Sick (tra laltro primo singolo del disco) ma alzi la mano chi ha sentito una nota della sua ugola o un suo riff caratteristico.
Insomma, a questo punto si poteva anche lasciarli a casa a comporre nuovi brani, possibilmente migliori di quelli ascoltati ultimamente.
Detto questo e aldilà di queste inezie, va premesso anche che Era Vulgaris è un album particolare, quasi a due facce. Da un lato la tendenza verso un suono hard rock molto duro e pesante, dallaltra la ricerca di accurate melodie morbide e vellutate. Il tutto ancora inframmezzato di residui stoner, anche se ormai siamo distanti anni luce non solo dai tempi dei Kyuss, ma anche solo dallalbum omonimo di una decina di anni fa e da Rated R.
Un altro fattore che spunta fuori saltuariamente è lautocitazionismo, ossia la tendenza a specchiarsi eccessivamente nel proprio passato offrendo schemi, ritmi e anche canzoni (è il caso di Make It Wit Chu, ripresa da quel gran calderone delle Desert Sessions) già sentiti e superati. Si percepisce chiaramente la difficoltà di Homme di uscire dai binari e avventurarsi in nuove direzioni. Daltronde va detto che arrivati al quinto disco può essere comprensibile la volontà di ancorare il proprio sound al proprio passato musicale, specie se glorioso come quello dei QOTSA. Homme ha comunque cercato di ovviare al problema con un ritorno ad un suono rock primordiale, in cui al cuore della composizione trova la sua posizione di prestigio un riff o un assolo intrigante ripetuti ossessivamente fino allo sfinimento. Difficile se questo denoti una mancanza dispirazione o lunica ancora di salvataggio ancora possibile per la band, fatto sta che ci si immagina Homme nella sua cameretta, a buttar giù qualche decina di riff elementari, grezzi e talvolta anche storti.
Quello che poteva essere laffondamento del transatlantico diventa però una scelta azzeccata. O almeno in parte, dato che alla fine il punto debole del disco non sembra risiedere nei brani più tirati bensì nei momenti più mosci e lenti, e soprattutto nel modo di cantare di Homme. E questo soprattutto il punto debole di Turning On The Crew, vortice acido potente al punto giusto prima dellentrata del cantato eccessivamente molleggiato. Ed è questo pure il problema nei coretti di Sick, Sick, Sick, che sfigurano rispetto allottima sfuriata chitarristica. E nonostante lo stile elegante e impeccabile, francamente ballate come Into The Hollow non risultano certo fondamentali.
Anche Make It Wit Chu viene alleggerita eccessivamente dalla sua precedente struttura lo-fi e appare come una versione scialba e rammollita rispetto alloriginale. Ed è un peccato anche che Suture Up Your Future si dilati così a lungo su quei ritmi così ballonzolanti senza nerbo prima di arrivare allaccelerazione finale in un crescendo altrimenti davvero notevole.
Aldilà di queste scelte stilistiche discutibili cè da dire però che le cose davvero riuscite non mancano. In ordine di apparizione troviamo laccattivante e sensuale Im Designer in cui aggressività e ritornello popular riescono finalmente a coniugarsi ottimamente. Cè poi lo splendido cambio di ritmo di Misfit Love con la sua chitarra quasi industrial ed il riff conturbante che apre a successivi splendidi intrecci di chitarre e ad un Homme che mette per un attimo da parte il tono passionale-romantico per tornare ad essere il sornione istrionico di sempre.
Si può notare come le strutture ritmiche non siano eccessivamente elaborate, anzi tendano a una circolarità continua sopra la quale a rendere la melodia sia quasi unicamente il cantato. Questa semplicità artigianale di fondo non deve però essere pregiudizialmente vista negativamente, tanto più che Battery Acid, scossa energica travolgente e dirompente, di fatto è uno dei veri gioiellini del disco. Così come 3s & 7s, quasi un collage di tre canzoni diverse incollate assieme in maniera schizofrenica, a tratti confusa, ma con un risultato finale notevole. River In The Road è un altro splendido pezzo tirato: fulmineo, duro, scattante, con una batteria inebriante e lennesimo ottimo intreccio di chitarre spezzettate. La chiusura non è da meno: Run, Pig, Run è lultima mazzata prepotente di cui non si può dire nulla se non che quel yuuuhh! di Homme ormai è decisamente anacronistico.
Difficile tirare le somme allora. Come già detto limpressione è comunque di un album frammentato, spaccato in due parti, cui una riuscita ottimamente, laltra solo a metà.
Daltronde non si trovano mai cadute eccessive e anche nei punti meno avvincenti non si sente lesigenza di passare alla traccia successiva. Il confronto con il precedente Lullabies To Paralyze è sicuramente vinto, anche se il distacco dai capolavori storici della band appare ancora notevole.
Rimane solo da sperare che il percorso futuro sia quello di Battery Acid e Run, Pig, Run e non di Into The Hollow. Non si potrebbe mai accettare un disco pop-rock convenzionale dai Queens of the Stone Age.
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