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R Recensione

5,5/10

Spidergawd

Spidergawd

Ma che poi, dire… Sarà davvero sempre sinonimo di avere qualcosa da dire? Chi parla di continuo, chi rovescia torrenti di parole, lo fa per il gusto estetico del gesto, o per la potenza intrinseca del contenuto? I Motorpsycho, ad esempio, sono dei chiacchieroni (lo sono sempre stati, anche se chi vorrebbe suonassero ancora come nel 1993 prova a farvi credere il contrario), ma raramente si sono cuciti addosso panegirici gonfi d’incenso: e quando è capitato, hanno prontamente chiesto scusa al loro interlocutore. Mi preoccupa, quindi, non tanto la reale quantità di ciò che viene detto, se viene detto bene. Gli Spidergawd, che del glorioso power trio + uno di Trondheim condividono in tronco la sezione ritmica (Bent Sæther al basso, Kenneth Kapstad dietro le pelli), aggiungendovi l’anima di frontiera e la chitarra secchissima di Per Borten dei Cadillacs, sono il campanello d’allarme di cosa succede quando la logorrea assume i caratteri dell’ineluttabilità, di quando diviene inarrestabile al punto da potersi considerare, sotto certi aspetti, patologica.

Blauer Jubel”, che dal tedesco all’inglese renderebbe grossomodo Blue Cheer, racchiude in un attimo gli orizzonti del dream team scandinavo: tessiture ortodosse, riff essenziali e legnosi, la deformazione valvolare che si limita spesso al solo fuzz, lunghe ed articolate brughiere strumentali che mai una volta cedono alla tentazione di trasformare la canzone in qualcos’altro. Un esercizio di stile, forse, oppure un omaggio ai propri eroi d’infanzia. Ci può star bene, specialmente quando si transita, senza traumi né scosse, dal (proto) hard rock dei Cheer ai Cream di “Southeastern Voodoo Lab”, caricato di una lussuriosa, fiorente anima black (le scintille funk arrivano quasi tutte dai preziosi arrangiamenti di fiati di Rolf Martin Snustad che d’altro canto, suonando nel gruppo ska Hopalong Knut, di ritmi e loro applicazione non può che intendersene), ai riverberi ovattati della piaciona “Million $ Somersault”, allo stoner “squillante” – un blues, in pratica, ipervitaminizzato – di “Masters Of Disguise”, con ampi sottotesti southern. Tutto ben suonato, per quanto lontano dall’essere realmente coinvolgente: colpa, in gran parte, delle scelte timbriche e canore di Borten, legate a doppia mandata ad una visione del rock troppo “classica” per scaldare i cuori. I guai cominciano quando si cerca di oltrepassare lo steccato, senza la giusta convinzione – ché le capacità, senza alcun dubbio, c’erano e ci sono tutte –, finendo puntualmente per disattendere quello che si aveva promesso. Laddove Snustad, a metà tra Sonny RollinsDana Colley, pigola al sax nella lunga introduzione di “Empty Rooms”, contrappuntato alla perfezione dal tocco sconnesso di Kapstad, ci si aspettano meraviglie: il pezzo, in realtà, è una noiosa cavalcata rock’n’roll (14 minuti!) riacciuffata per i capelli solo sul finale, minimale, in cui risorge il tocco profondo e delicato del fu Jeff Healey. Del tutto insipido anche il blues in solitaria che Borten miagola a fine scaletta, “Devil Got My Woman (Untitled)”, dalla calligrafia a tratti finanche stucchevole.

Servisse come “pattumiera” dei Motorpsycho, il filtro per depurare la grana del songwriting della band madre e per rovesciarvi le sue pulsioni più conservatrici, ben vengano gli Spidergawd. Il timore, tuttavia, è che l’esperimento possa solamente distrarre preziose energie.

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