V Video

R Recensione

6,5/10

Spidergawd

V

C’è una cosa che gli Spidergawd di Per Borten posseggono in abbondanza e che al sottoscritto, sciaguratamente, manca del tutto: la capacità di infischiarsene del giudizio altrui – il che comprende, per inferenza, la capacità di disinteressarsi delle mode e perseguire unicamente il proprio credo. Non si spiega altrimenti la dedizione assoluta ad un progetto che, per coordinate stilistiche e prolificità discografica, sembra nato perlomeno con quattro decenni di ritardo. Prima volta dalla loro genesi, il quinto lavoro in studio del quartetto norvegese arriva con un leggero ritardo sulla tabella di marcia che, fino ad oggi, aveva registrato ritmi da catena di montaggio: ma questo, probabilmente, è dovuto solo ai progetti paralleli che ogni membro continua a coltivare e che, nel 2018, hanno portato al ritorno degli Orango del bassista Hallvard Gaardløs (con “Evergreens”) e a quello dei Møster!, collettivo situazionista guidato dall’omonimo sassofonista in cui, dietro le pelli, trova posto il solito Kenneth Kapstad (nel doppio, invero non eccezionale, “States Of Minds”). Poco male: anche se non il migliore capitolo della loro discografia, “V” è comunque uno dei più compatti saggi di retro hard rock che possiate trovare al momento in circolazione.

Dalla fuoriuscita di Bent Sæther (Motorpsycho, Sugarfoot) dalla lineup originaria, avvenuta a cavallo tra la fine del tour di “Here Be Monsters” e le session di scrittura di “IV” (seconda metà del 2016), gli Spidergawd avevano abbandonato le ramificazioni più progressive della propria scrittura, sfrondando lo sfrondabile e concentrandosi sull’impatto sanguigno della chitarra di Borten e del sax baritono di Rolf Martin Snustad. Il brano che inaugura la scaletta di “V”, “All And Everything”, sembra rimangiarsi la parola data: inaugurate le danze sulle ali di un adrenalinico fraseggio morphiniano, ecco che la composizione – travestita con le chitarre ariose di certo southern elettrico e agghindata con un solismo à la Blue Öyster Cult – si gioca da subito le proprie migliori melodie, dall’inconfondibile stampo indie rock. Si gioca ancora sul filo della leggerezza, con le scaglie di americana in “Ritual Supernatural” che – proprio come nella vecchia “Tourniquet” – si avviluppano attorno ad un’effettata frase portante che ricorda “Go With The Flow”: poi è predominio NWOBHM, con la prim’ora maideniana di “Do I Need A Doctor…?” e la seconda di “Knights Of C.G.R.” (aperta da un bel paravento sabbathiano), i Nazareth di confine di “Twentyfourseven”, lo scatenato ed oscuro boogie di “Green Eyes” (con suggestioni acoustic-prog sparse qui e lì) e i coriacei Angel Witch di “Whirlwind Rodeo”.

In assenza di novità significative, il complimento migliore che si possa fare ad un disco così è quello di non aver mai spinto il proprio ascoltatore a pensare di aver impiegato male il proprio tempo. Nobilitateli così voi, quaranta minuti!

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