R Recensione

6/10

Frame

Frames 6-16

Nel 2009 i Frame pubblicarono un buon EP di sole cinque tracce (“Frames 1-5”) nel quale presentavano il loro stile, nella sostanza molto essenziale in quanto costituito esclusivamente da un pianoforte e da un tappeto di beats elettronici, più raramente con l’aggiunta di chitarre filtrate. Sta di fatto che se suonasse soltanto Emanuele Mannocci sembrerebbe un disco di Apparat, se a suonare fosse invece Francesca Ciani il tutto avrebbe la forma di un album di Giovanni Allevi. Mischiando le due cose, come hanno già avuto modo di fare Carsten Nicolai e Ryuichi Sakamoto, i Frame hanno creato un proprio marchio di fabbrica che oggi li contraddistingue. Questo “Frames 6-16” non è che il continuo del primo EP ma con le vesti di un disco vero e proprio, cioè più organico, più lungo e più intenso. Undici brani di sonorità rilassanti che stimolano nell’ascoltatore diversi stati d’animo: introspezione, calma, ponderatezza, razionalità, malinconia, ma anche gioia, dolcezza, istinto, fuga, creatività. Questi due ragazzi di Prato, a ben vedere, c’hanno saputo fare.

I riferimenti musicali di “Frames 6-16” sono molteplici, dai citati Noto e Sakamoto agli Autechre, Opiate, Ludovico Einaudi, Funky Lowlives, Air, Ezra, sino al più giovane e da me tanto amato Tomme. Tracce come “8” o “12” vengono lasciate quasi interamente al talento digitale di Mannocci mentre in “6”, “10” o “14” è il pianoforte della Ciani ad avere la meglio. La migliore ripartenza elettronica la troviamo però in “11”, pezzo decisamente riflessivo che verso la fine celebra un bellissimo matrimonio tra classicismo e computer. In “16”, invece, la progressione dell’intelligent dance music regna sovrana e crea una freddissima atmosfera noir. “9”, d’altro canto, vien fuori come le primule a fine inverno, squarciando il manto di neve poco a poco, eppur con insistente tenacia. Undici brani molto ispirati, tra sentimenti cinematografici e atmosfere pulsanti, il tutto in una veste di grande armonia sonora. Il viaggio che ci porta da “6” a “16” sembra lungo ma i due musicisti toscani riescono a farcelo trascorrere in completo riposo, stuzzicando l’appetito con linee melodiche di gran pregio.

La mistura di musica classica e tecnologie avanzate è un filone a cui diversi artisti hanno puntato nell’ultimo decennio, quasi a confermare l’ipotesi di una “fine della musica”, o perlomeno dell’esaurirsi della sua carica innovativa, straripante come una rivoluzione. Battuti (quasi) tutti i territori del suono il musicista si è sentito spinto a rimaneggiare gli stilemi più antichi, riportando alla luce il quintetto d’archi (Matthew Herbert), l’orchestra da camera (Peter Gabriel), la filarmonica (Sting), la musica meccanica (Pat Metheny), la musica lirica con tanto di soprano (Franco Battiato), arrivando persino alla contaminazione con l’opera buffa (Animal Collective). I Frame, di questa moda, sembrano infischiarsene – e fanno bene – ma certamente il loro sound ne rimane influenzato. Non a caso questo debutto suona troppo simile al primo episodio in EP e, nonostante ne sia il naturale prolungamento, sarebbe stato bello inserire un motivo di rottura, di conflitto, di evoluzione, a riprova del percorso sempre in avanti che la musica deve intraprendere, mai soffermandosi troppo sulle tendenze del momento.

Tirando le somme, si può sostenere che “Frames 6-16” sia, senza dubbio, un disco interessante ma anche che sarebbe bene, nelle pubblicazioni prossime venture, presentare qualcosa di ancor più organico, con l’inserimento, magari, di samples vocali o affidando le sequenze melodiche a strumenti i più disparati.

V Voti

Voto degli utenti: 6/10 in media su 1 voto.
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Teo 6/10

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