R Recensione

6/10

AA. VV.

Clowns & Jugglers, a Tribute to Syd Barrett

I dischi tributo sono un gioco a scatola chiusa, come le buste sorpresa che tempo fa infestavano le edicole. Dentro potresti trovarci la cosa più brutta ed al tempo stesso la cosa più bella che si sia mai ascoltata.

Dalla busta sorpresa, o meglio dal suo cappello a cilindro, Syd Barrett ha estratto atmosfere, melodie e paesaggi immaginari fra i più belli ed importanti del secolo musicale passato. Basti pensare al macigno psichedelico di The Piper At The Gates Of Dawn, fondamentale esordio dei Pink Floyd, ed ai viaggi pop lisergici di The Madcap Laughs e Barrett. Un Artista con la “A” maiuscola, schivo e fragile, schiacciato dalla creatura mostruosa e multiforme estratta dal suo cilindro magico.

In seguito alla sua morte, dei dischi postumi e dei vari tributi se n’è perso il conto, e il mese scorso la Octopus Records (non potevano scegliere nome più azzeccato) pubblica questo tributo interamente nostrano, scegliendo band italiane più o meno debitrici al Madcap.

Con la foga e la sorpresa di un bambino si estraggono per prima le sorprese più grandi solitamente più soddisfacenti. Dalla busta senza fondo di “Marypoppinsiana” memoria (si, lo so, la sua era una borsa) fuoriescono subito i pezzi forti.

I Super Elastic Bubble Plastic trasformano una ballata apatica Dominoes in una acida marcia post-core, come se Steve Albini e Syd Barrett si passassero un acido di bocca in bocca con un bacio, un lento incedere allucinato e caustico. I Mesmerico oscurano il sole di cartone di No Good Trying a suon di math-core martellante ed ipnotico, mentre i magnifici figliol prodighi Jennifer Gentle scolpiscono un pop fragile a narcotico con la solitaria Opel.

I Baby Blue invece imbottiscono Dark Globe di dosi massicce di folk sudista, mentre gli Entrofobesse giocano ad ampliare gli accordi sghembi di She Take A Long Cold Look At Me. I FUH declinano la magnifica ed opprimente Long Gone in chiave Jesuslizardiana, unendo la psicosi all’ossessione in un miscuglio micidiale, ed i From Tropics With Love elettrizzano lo pseudo stomp blues di Rats.

Piuttosto indifferenti sono invece le performance dei Roses Kings Castles che decidono di non mischiare le carte pop ovattate di Love Song, e dei Low-Fi che rendono No Man’s Land una cavalcata indie rock innocente ed innocua. Così come Moltheni non si sforza più di tanto a strizzare le meningi lasciando Is It Obvious immacolata così com’era, e l’anonima versione di Octopus dei Mad Hatters Project. Curiosa invece la veste reggae che i Gasparrazzo cuciono con ironia sul corpo esile e scanzonato di Love You che non suona poi così male, anzi.

Infine assolutamente da scartare la versione pop ovattata à la AIR di Terrapin ad opera degli Atari e la bestemmia elettrocosmica in salsa low-fi di Baby Lemonade dei Vanproof, barbaramente deturpata della sua leggerezza pop scanzonata e vertiginosa.

Le sorprese più belle e quelle più brutte contenute nella stessa busta, appunto.

Una busta che raccoglie l’animo innocente ed ingenuo di Syd Barrett come il gioco di un bambino;

Un bambino che ha giocato con il fuoco.     

V Voti

Nessuno ha ancora votato questo disco. Fallo tu per primo!

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.