The National
Sad Songs For Dirty Lovers
Il secondo album dei National è già tante belle cose. Innanzitutto la produzione: i tempi sono maturi, migliorano arrangiamenti e scrittura delle canzoni dal primo album Peter Katis siede per la prima volta in produzione, lo rivedremo più avanti il sound una calamita di nichilismo, erotismo, ricordo e rimpianto. E nel mezzo, tra le parole scure e quelle più scure, una musica che viaggia basso, tra l'entroterra e il magma più denso.
Perchè quando Matt Berninger scandisce lentamente "and do everything she'd never do..." nella splendida "Cardinal Song" iniziale tra le più belle del gruppo mai concepite l'iperuranio dei National partorisce già la torch song perfetta, con quello stacco effettato delle chitarre, un synth morfeico rubato ai Sigur Ròs, e la fantastica coda finale di violini vesperi. A guardare letteralmente in faccia questo "Sad Songs For Dirty Lovers" la donna e le strade che a lei portano o da lei partono si rischia di lasciarsi catturare immediatamente dalle blues ballad che si susseguono, che s'inseguono, che si rincorrono nell'album; canzoni come "Slipping Husband" prendono forma con una semplicità e una padronanza unica, pochi accordi al cristallo presi in prestito ai primi Coldplay (ma qui altra voce, altro spessore) e un crescendo emotivo spossante frantumato da urli strozzati, seconde voci appena sospirate sullo sfondo e quella risalita ritmica di batteria che diventerà presto uno dei tratti distintivi dei National ("The Boxer", 2007, per amare).
Sono canzoni tristi quelle espirate con voce calma e baritonale da Berninger, un pop-noir decadente, spossante, a tratti esangue (le esalazioni bohémien e vagamente dream di "Thirsty", un po' di Elliott Smith raccolto nelle ritmiche e nella voce appena filtrata di "Sugar Wife", la melodia semplice e strascicata di "Lucky You", mentre Berninger intona "Wherever you will ever be/You're never getting rid of me/You own me/There's nothing you can do..." nella quieta consapevolezza di fine album). In questo gioco inaspettato indiemen alle prese con anti-climax sadcore trovano spazio canzoni minute, delicate, come "90-Mile Water Fall", che prima rinnega una qualsiasi andatura melodica (risultando immobile, sospesa, fragilissima) e poi sfuma sui violini in uno splendido ricamo di archi come solo i Clogs più ispirati saprebbero fare: una canzone bellissima, che chiude alla perfezione il trittico iniziale. Un album, questo, che tra le strade di copertina forse si perde un po' qua e là in pezzi meno riusciti, come "Fashion Coat" o "Patterns Of Fairytales" o "Murder Me Rachael", laddove si smarriscono le idee e le composizioni si fanno meno concrete, il cantato più superficiale, gli accordi si confondono. Mezze-canzoni, diremmo, che intaccano questo "Sad Songs For Dirty Lovers" ma poco poco, perché l'autostrada per il successo è già imboccata a velocità costante ("It Never Happened" a stagliarsi tra le belle del reame, frammentata com'è in una prima parte indie-rock semplice ma dal giro di chitarra e ritmo azzeccato e una seconda parte più curata sugli effetti, sulle distorsioni, e la batteria di Bryan Devendorf a imprimersi a fuoco).
Album triste, solitario, scheletrico, fumoso ma pieno di sostanza. Ascolto irrinunciabile per comprendere appieno lo scatto in avanti decisivo dei National ma, soprattutto, per gli amanti di certo romanticismo nero pece. Inguaribili, accasciati romantici.
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