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R Recensione

7/10

Aetnea

Aetnea

Giant Things”, tanto per mettere da subito le cose bene in chiaro, è il trionfo finale. La ciliegina sulla torta. I dieci minuti (non sembra!) di coda di un disco talmente spumeggiante e creativo che, espungendo poche e definite velleità artistiche a trazione limitata, non poteva finire in un modo diverso da come, effettivamente, si conclude: con un sottile, inatteso, ironicamente stereotipato tambureggiare swing. Dopo, s’intende, un incubo ad occhi aperti, la psichedelia distrutta dai synth, un sospiro jazzato centrale che sfiora l’eleganza della sospensione acustica, bassi enormi e devastanti che sembrano sfuggiti al controllo dei MoRkObOt, infrangendosi su colossali muraglie ritmiche certamente metal nella disposizione esteriore, a tratti doom nella struttura interna. Non stupisca l’eterogeneità dei riferimenti: gli Aetnea, siciliani doc sin dalla scelta del nome, sono figli di una terra che ha prodotto Carmen Consoli e gli Inchiuvatu, le arance e lo zolfo, Gorgia e Rosso Malpelo. Appunto. Finisce tutto a capofitto in una centrifuga che restituisce all’ascoltatore, con abbondanza di vividi particolari, l’attenzione spesa per fruire di un prodotto composto con nulla in mano e ancora meno calcolo del rischio.

Scrive il trio catanese di voler sperimentare, via specifiche conoscenze di ogni membro, la compenetrazione tra musica elettronica e musica analogica, adoperando sulla resa suonata di quest’ultima degli accorgimenti sintetici. La mescola funziona (quasi) perfettamente. I Primus slappati e ipercinetici di “Vartan Dub” subiscono il fascino di una completa esegesi ritmica, prima di assaltare la giugulare con un perfetto, oscuro riff tooliano spalmato su tempi dispari. In “Odessus” esplode la descrittività delle chitarre post metal, frammentate in un disordinato sovrapporsi di piani melodici invero un po’ muffiti e ravvivati da originali segmenti di clarinetto (suona Andrea Rivoli). “Contrappunto” è un liquido intersecarsi di bassi clubby, schizzi free jazz e gorgoglianti destrutturazioni dark ambient, il preludio che non t’aspetti al lento quadretto narrativo di “Atrabile” (molto bello, e significativo, il testo recitato dal batterista Luca “BJ” Bajardi), tra incasellamento blues, l’inevitabile ombra dei Massimo Volume e ottimo gusto slowcore. Il gioco di sovrapposizioni prog di “Béla Bartók” forse esagera, tra citazioni filologiche dell’etnomusicologo ungherese, uno straniante falsetto fatto a brandelli dalle spire soffocanti di un sitar ed un’infiammata seconda metà che cede – ancora una volta – ai plastici tentacoli del metal evoluto, ma è più segnale di ludopatia che narciso esibizionismo: prova ne sia il riflesso di specchi autogenerato di “John Cage”, 4.33 di posticcio silenzio continuamente molestato da interferenze ambientali, spesso discrete, a tratti evidenti.

Un piacere, ancor oggi, avere la possibilità di parlare di dischi del genere, nati – per di più – sotto la felice stella dell’autoproduzione. Casa è dove batte il cuore: non sempre serve trasvolare un oceano per scoprire l’America.

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Voto degli utenti: 7,3/10 in media su 3 voti.
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ciccio 7/10
AETNEA 10/10
target 5/10

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AETNEA (ha votato 10 questo disco) alle 10:23 del 10 gennaio 2013 ha scritto:

Grazie per la bellissima recensione.