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R Recensione

4/10

La Biblioteca Deserta

Travelling Without Gravity

Inutile che vi affanniate a cercare, la biblioteca è davvero deserta. Un tempo, su quegli scaffali, c’era il libro di testo di David Pajo. I depliant e le brochure uscite da casa Aitchison. Soprattutto, una serie di volumi imperdibili di avventure fantasy, con le esplosive illustrazioni ad opera di Munaf Rayani. È bene sottolineare l’uso del tempo passato, che frattura ogni possibilità di connessione col presente. I testi sono passati di mano in mano. Sono stati letti, sottolineati, resi frusti dall’uso e dalla consultazione. Hanno avuto così successo, così a fondo hanno colpito l’opinione comune che, ben presto, gli scaffali si sono riempiti di squallide imitazioni ad opera dei mestieranti più improbabili. La sintassi si è fatta più annacquata, selvatica, trascurata. Anche queste copie carbone sono andate a ruba, mentre degli originali più nessuna traccia. Ed ora, finalmente, regna il silenzio. La polvere si deposita sulle mensole. Ogni tanto arriva il corriere: novità sul mercato, dice, ma non ci crede veramente neppure lui.

Via al giochino del sembra-ma-non-è. Ad esempio: non vi è alcuna cattiveria nei toni allarmati di chi denuncia, all’interno della scena (?) post rock su scala globale, un livello tale di saturazione da rendere quasi impossibile il distinguo tra una proposta e l’altra. Bene si farebbe a tenerne conto, con tutti gli annessi ed i connessi del caso. È spiacevole per chi compone, costretto a dibattersi entro i soliti quattro calcinacci cadenti, ma soprattutto per chi ascolta, incapace di trovare una via di fuga dal solito paradigma. Fedeli sino alla morte, nemmeno fosse scritto nella Costituzione: con la differenza, perlomeno, che quest’ultima viene, suo malgrado, modificata quotidianamente, sottilmente. Approcciare così alla larga il discorso permetterà di far luce sulla totale mancanza di acredine che permea le mie parole, e che hanno come oggetto, per questo turno, il giovane quintetto di Monopoli.

Sarebbe bello, viaggiare senza gravità. Qui, però, è opportuno che si tengano i piedi per terra, per il bene di tutti. Splendido lavoro grafico, splendida produzione, un signor Missaggio (maiuscolo, via, così ci caviamo il pensiero), ottima preparazione tecnica, La Biblioteca Deserta non lesina nemmeno sontuosi giri di parole per darsi una presentazione aulica e verbosa, come si conviene al genere: “una cattedrale di emozioni, dove suoni e silenzi prendono vita da parole fantasma”. Nessuno ha nulla da ridire. Che motivo c’è di farlo? Le prime crepe vengono a nudo. È già omologazione prima del suono, massificazione. Il bisogno di darsi un tono con un vocabolario in mano è sintomatico della povertà correlata nella trasposizione sonora. Che sia un vizio in crescita inarrestabile, ahimè, è solo un altro indizio dei buoni intenti e della nulla personalità del gruppo. Mogwai, Sigur Rós, Muse, Coldplay sono i nomi citati. Per un generale senso melodico e per un colpo d’occhio di respiro cosmico ci può stare. Mancano i santini principali, gli Explosions In The Sky.

Credetemi: ho provato a fare dietrologie su dietrologie nei confronti di “Travelling Without Gravity”. Non è nel mio stile, ma una volta ogni tanto ci può stare. Dai con la giovane età. Dai con i primi passi incerti per la maggioranza. Dai che siamo italiani e, da Nord a Sud, il post rock l’abbiamo sempre venerato, in ogni era geologica. Dai con la passione ed il sentimento della spontaneità. Dai con il contrario: la costruzione intellettuale, la presenza di un concept unitario. Poi mi sono bloccato. Dire che i sei brani del disco siano brutti equivarrebbe ad essere falsi: stonerebbe, in un’apologia della sincerità come questa. La domanda che scatta ad ogni minuto è, ciò detto, sempre la stessa: dove l’ho già sentito? Dappertutto, è la risposta, perché dovunque fanno album così con passaggi così, crescendo così e conclusioni così. Imbarazzante disquisire sull’alternanza di acustica ed elettrica in “Il Motivo Del Giorno”, quasi prog-oriented con scampoli di fisarmonica samplizzata (ma… “The Birth And The Death Of The Day”, vi dice nulla?), banale salvare “Dalla Terra Alla Luna” per il suo intro terremotante, velleitario giustificare l’infinita sequenza di arpeggi di “Fuochi Artificiali”, tirata per i capelli fino ai dodici minuti.

Uno dei brani, emulsionato in una salsina romantica, si chiama “When Removed, The Impression Remains”. Touché.

 

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