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R Recensione

7/10

And Also The Trees

Hunter Not The Hunted

Molti dei gruppi provenienti dall'epoca d'oro della new-wave e del post-punk, sono sopravvissuti senza più riuscire neppure a sfiorare le vette compositive toccate in precedenza (in genere localizzabili entro il 1984). Alcuni si sono votati alla rievocazione storica, altri si sono sciolti salvo poi reinventarsi improbabili reunion a dieci o venti anni di distanza dall'ultima volta in cui i rispettivi membri si erano mandati a quel paese. Già negli Eighties gli inglesi And Also The Trees  – originari del Worcestershire – hanno incarnato una realtà sfuggente considerata, a torto, di minore importanza rispetto alla “grande onda nuova” che stava inondando la storia della musica: Simon Reynolds nel suo “Post Punk” non li cita neppure di striscio. Ma non è l’unica delle inspiegabili omissioni di colui che responsabile di aver dato il nome al movimento “post-rock”: dunque non facciamocene un cruccio.

In parte accostabili alla sensibilità di band come Echo & The Bunnymen, The Cure, The Chameleons, Felt la formazione continuativamente guidata dai fratelli Jones (Simon H. carismatico vocalist, Justin alla chitarra, anche se gli album del primo periodo, compositivamente parlando, debbono molto al bassista Steve Burrows e al batterista Nick Havas, da lungo tempo non più in line-up), dopo l'esordio omonimo del 1983 prodotto da Lol Tolhurst dei Cure, ha saputo lentamente sviluppare una introspettiva vena compositiva legata a doppio filo alla poesia gotica di stampo anglosassone: con il passare degli anni la band ha messo a punto un romanticismo malinconico, nel quale le descrizioni ambientali  e le storie popolari dell’entroterra rurale hanno giocato un ruolo importante. Senza addentrarci troppo nella loro discografia, possiamo dire che con "(Listen For) The Rag And Bone Man" (2007) gli And Also The Trees sembrano aver trovato un nuovo Anno Zero, un nuovo rinascimento, fatto di ballad spettrali che hanno il loro fulcro in una ispirazione non dissimile da quella dei Piano Magic, affrancandosi definitivamente da qualsiasi nostalgico rigurgito post-punk. Le canzoni di "Hunter Not The Hunted" nascono nella medesima radura umorale dal cui crepuscolo è sbocciato quel fiore prezioso rappresentato dal citato "(Listen For) The Rag And Bone Man", ma oggi l'aria diviene più rarefatta, inquietamente più sospesa e silenziosa. Un racconto di fantasmi dal passato, di evanescenti immagini sulla sponda lontana del fiume, di desideri irrisolti relegati in un limbo onirico. Metaforicamente i due più recenti opus in studio stanno alla vicenda degli And Also The Trees come “Spirit Of Eden” e “Laughing Stock” stanno a quella dei Talk Talk. Ma, ripeto, è solo per una analogo modo di procedere sul percorso di evaporazione/sublimazione di una materia sonora, geneticamente differente.

La voce profonda di Simon Huw Jones è a tratti eccessivamente declamatoria (ormai la sua vocalità è divenuta immedesimabile tanto con quella del Nick Cave delle murder ballads, quanto con quella del Maestro Leonard Cohen, senza tralasciare suggestioni a là Scott Walker), ma l'intensità dell'insieme è tangibile e tale da azzerare la differenza che esiste fra l'emozione alla radice dei brani e il veicolo espressivo costruito per trasmetterla. Tutto coincide, concretamente. La sorgente di luce diviene essa stessa luce. L’anima sensibile del nuovo capitolo discografico degli And Also The Trees risiede in questa raffinata ricerca di essenzialità, scevra di elettronica e di altri artifici, capace di scorgere nel buio quella scarsa, essenziale luminosità residua e farne lanterna, luce guida. Una lanterna introdotta da porte traverse disseminate in atri impolverati rimasti nella tenebra troppo a lungo, un chiarore non irradiato ma quasi sussurrato negli angoli tetri. Eppure dall'indistinto emergono ritratti di famiglia e fotografie di viaggio in bianco e nero, dalle cui superfici riprendono vita volti e storie: Rip Ridge, The Floating Man, The Woman On The Estuary, Bloodline,  Angel Devil Beast And Man, l’iniziale Only hanno una fodera emozionale elegante e spartana allo stesso tempo e sanno mantenere i nervi tesi e sensi acuiti. A "Hunter Not The Hunted" manca probabilmente un cuore pulsante, un focus evidente (a parte lo struggimento raggiunto da Burn Down This Town): ma è nel dimesso e dilatato smarrimento percettivo che sta l’obiettivo di un album, fatto di episodi caratterizzati da una bellezza autunnale talvolta quasi impalpabile. Arpeggi di chitarre, spazzolate di batteria, sfioramenti di corde di dulcimer, rintocchi di basso e contrabbasso: questo o poco più si aggiunge alla voce narrante e al suo ombroso storytelling. E spesso in questo dolente intimismo si rinviene una interessante compartecipazione d’intenti con i Current 93 di David Tibet.

Nel brulicare di afflizioni, memorie e significati, "Hunter Not The Hunted" si erge tenue su quel mare introverso rappresentato sulla sua copertina: un panorama dipinto con una tinta in grado di confondere gli elementi, di annullare le distanze fra acque, isole e cielo. In un oblio che si manifesta alla fine di ogni giorno, rammentandoci che ogni giorno, nella sua unicità, si spegne ogni volta per sempre.

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