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R Recensione

6/10

Moongoose

Irrational Mechanics

I Moongoose nascono nella provincia beneventana nel 2009 per mano del bassista/programmatore Giuseppe Fierro che solo nel 2011 riesce a fissare la lineup definitiva assieme a Dea Mango alla voce e Gianluca Timoteo alla batteria. Un suono bristolese accattivante pur facendo modesto ricorso all’elettronica, rende l’esordio di questa band campana un prodotto discografico tutto sommato più che sufficiente. “Irrational Mechanics” esce ad aprile 2014 e, nei suoi nove brani, è intenso ed omogeneo, un corpus unico di istanze, soluzioni e stilemi trip hop, in cui gli elementi strumentale e vocale la fanno da padroni.

Closed field”, “Pool”, “Irrational mechanics” e “Paradox” sembrano proprio una lunga scia elettroacustica di sonorità trip hop, con poche variazioni e ancor meno invenzioni, ma il cui punto forte risiede nella potenza del basso e nella straordinaria quantità di vocals. Leggermente diverso il discorso per “Fomenta” e “Topological space”, in principio docili, poi scatenate. I pezzi migliori arrivano in settima e ottava posizione con “O-ratio” e “Mistake”, due brani che rappresentano forse il miglior compromesso fra linea melodica, sezione ritmica, campioni e vocals; in “Mistake” vi sono persino sample da “Solaris” (1972), capolavoro cinematografico sovietico di Tarkovskij. L’ultimo pezzo è “Il continuo”, il più sperimentale, il meno melodico, quello davvero illogico, l’unico cantato in lingua italiana.

La scena di Bristol sembra aver esaurito la sua vena creativa -perlomeno si è notevolmente ridotta- e il trip hop pare più il ricordo lontana d’una lontana età dell’oro. Giuseppe Fierro afferma che: «le meccaniche irrazionali minacciano ogni certezza, rafforzano ogni debolezza. La realtà è armoniosa, la contingenza è caotica», ma i Moongoose hanno riportato in vita quel genere senza attualizzarlo né tantomeno ripresentandolo così com’era, e le meccaniche irrazionali con cui volevano ammantare il loro esordio discografico sembra non regolino alcunché.

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