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R Recensione

7,5/10

Mombu + Oddateee

Subsound Split Series #3

Eccovi un eccellente motivo per riprendere a chiedersi il perché intimo del ritorno degli Zu ed archiviarne definitivamente, senza senso di colpa alcuno, il recente “Cortar Todo”. Arriviamo sull’oggetto del desiderio con un certo ritardo (quattro mesi), in parte ingiustificato, in parte dovuto alla necessità di assorbire, in ogni sua minima fibra, un lavoro scritto, suonato e registrato per restare. La crescita dei Mombu, nel corso degli anni, è stata inesorabile, trionfante, inappellabile: impossibile non provare un fremito di ammirazione per ciò che Luca Mai e Antonio Zitarelli sono stati capaci di confezionare, rimettendo da subito in discussione gli immaturi bozzetti del s/t (in “Zombi”), dialogando col miglior chitarrista strumentale di cui oggi possiamo farci vanto (in un progetto, SpaccaMombu, che speriamo possa avere un seguito in tempi ragionevoli) e perfezionando il devastante marchio di fabbrica in “Niger”, uno dei parti più originali ed efficaci di un’intera Italia rumorosa. Ora, lo split. Si capisce, il compagno d’avventura non poteva non essere anch’esso borderline, misterioso: troverete ben poco materiale in rete per ricostruire la personalità di Oddateee, e quel poco (è stato il primo MC a firmare per la Deadverse di Dälek, ad esempio) è, paradossalmente, sufficiente.

Ma cosa riunisce assieme una delle stelle polari dell’underground hip hop statunitense ed il coriaceo duo afrogrind/voodoom/jazzcore/quello che maggiormente vi aggrada? Dal 1996 al 2009 Konkurrent, label nederlandese, istituì e curò il cantiere aperto di In The Fishtank, quasi una riedizione nordica delle Peel Sessions. Il concetto era chiarissimo: rinchiudere per un paio di giorni, negli studi di registrazione di proprietà, una o più band, a volte legate da rapporti di amicizia o collaborazione artistica, ma più spesso prive di qualsiasi connessione, spingendole a lavorare a stretto contatto. Ciò che nasceva fuori da queste inedite conversazioni veniva registrato e pubblicato (quindici i volumi totali, e che volumi: Motorpsycho + Jaga Jazzist, Low + Dirty Three, Tortoise + The Ex, Isis + Aereogramme, Sparklehorse + Fennesz…). Nella penisola, Subsound sembra aver occupato la nicchia un tempo di Konkurrent: basta dare un’occhiata alla lista (non certo infinita…) di inusuali e ghiottissimi split dati alla luce in un anno e mezzo. Mombu + Oddateee è il terzo capitolo e, aldilà di sofismi vari ed eventuali, il migliore. Cercheremo di spiegarne i motivi.

Cominciamo dal flow di Oddateee: onirico, a getto continuo, eppure sempre crepuscolare, sfuggente. Le parole eruttano copiose e di parole, della loro costituzione verbale, s’intesse la stessa musica, che però rimane in un cono d’ombra, impalpabile, allucinata. “Kill Guns” (i beat sono di Luciano Lamanna dei Der Noir) avanza, catatonica, come avanzerebbe un brano dei Morphine remixato dai Massive Attack. Il singolo di lancio, “Paranoia”, è un incubo metropolitano che, citando Malcolm X, sdrucciola sull’olio rappreso di una strumentazione ridotta al minimo, in recupero, con tutta la propria potenza belluina (inaspettatamente, c’è da dire), solo all’incalzare della marcia conclusiva. Il rapper newyorchese offre la sua prestazione migliore in “Shooter”, uno stream of consciousness – con interpolazione quasi incidentale di ritornello onomatopeico – le cui curve si modellano su interferenze noise e battiti sconnessi: oppiacea e sonnolenta è, parimenti, la successiva “Light Me Up”, con cui forma un ideale continuum.

Oddateee non è isolato nel suo soliloquio. Interi brani sono monopolizzati dai Mombu, la cui scrittura si condensa, per l’occasione, in un colpo d’occhio generale: un torrente unico di suono che, se da un lato toglie rilevanza al particolare compositivo, dall’altro è pressoché monolitico, incapace di mostrare qualsivoglia crepa. “The Chant” è un pezzo stupefacente (in ambo i sensi), un delirio no stop di percussioni, handclappin’ e fraseggi colemaniani, impastati in un orgiastico magma free jazz (il vertice della sperimentazione stilistica di Antonio Zitarelli sui timbri e sui poliritmi). Nel suo gonfiarsi e sgonfiarsi, “Abuse” rispolvera, con autorità assoluta, i loro migliori numeri jazzcore. “Devils Card” sfrutta le infinite possibilità della plunderfonia per ricreare un Armageddon boschiano di prima categoria, tra incrostazioni doom, schegge dall’oltretomba, spicchi di Sonny Rollins. Il combo gira al massimo in “Human Guinea Pig” (dove gli schemi liberi di Oddateee, che incendiano l’accompagnamento strumentale, finiscono in breve vittima dello stesso, in una compulsiva alternanza tra maestosi tramestii post-core e rinculi trip hop) e, soprattutto, nella conclusiva “Only You”, gli unici quattro minuti e mezzo del disco dove i pugni si schiudono, la tensione cala e l’assetto da guerra lascia il proscenio ad un robusto soul in mutazione (non privo, incredibilmente, di un certo romanticismo da strada).

Anche i non cultori del genere faranno fatica a staccarsi da un disco che, per quello che dice, per come lo dice, ad ogni ascolto rivela qualcosa di nuovo, qualcosa di meglio. Uno stupendo inno alla curiosità e al coraggio che segnaliamo, e consigliamo, con gioia e convinzione assolute. 

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