Tricky
False Idols
Eccolo il Tricky che preferiamo, diavolo nero che agita un pentolone ribollente di voci femminili, strumenti ed elettronica per servire la migliore ricetta aggiornata di trip hop in circolazione. Non sono più i tempi di Maxinquaye ed il genere musicale si appresta a ricomparire negli scaffali del modernariato, ma False idols è davvero un modo convincente per rispolverare la formula che vede Tricky fra i creatori , coniugando efficacemente suggestioni dal passato e slanci verso il futuro.
Come spesso accade, il titolare compare solo sporadicamente, qualche rantolo rauco qua e là a sottolineare le sensuali linee vocali femminili, dellitaliana Francesca Belmonte e della cantante nigeriana Nneka, riservandosi un piccolo ruolo da protagonista solo verso il finale, con lhip hop spezzato e frenetico di Hey love , e la declamazione di Passion of the Christ, voce, batteria e refrain orientale.
Prima ci sono ben tredici pezzi che in qualche caso giocano con la storia del rock (Somebodys sin è una citazione di Gloria dei Them) , o del jazz (il Chet Baker campionato nella metronomica Valentine), ed in altri si proiettano verso una forma canzone elettronica virata, di volta in volta, verso il rock ( Parenthesis con il falsetto di Peter Silberman degli Antlers a irradiare una perversa aura) , il funky, (Is that your life) o costruita sulla declinazione del soul preferita dallautore, con alcuni fra gli episodi migliori del disco: Nothing matters e Nothings changed non avrebbero sfigurato su Blue lines.
Il campionario è comunque molto più vasto e comprende, tra laltro, interludi orientali, ritmi tribali ed un inno elettronico contro la morte, We dont die, anche se il carattere dominante ed unificante del lavoro è latmosfera ipnotica, notturna e penetrante .
Per chi ama il genietto di Bristol sarà un piacere ( tornare a) calarsi in queste ritmiche tenebre.
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