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7/10

Rammstein

Rammstein

L’evento che più di tutti sta mantenendo il panorama alt-metal in trepidante attesa è l’uscita dell’ormai mitologico nuovo album dei Tool, sebbene, dopo 13 anni di continui pesci d’aprile, quest’attesa sembra stia per giungere al capolinea.

Il 2019 ha visto però il ritorno sul mercato discografico di un’altra band che era ormai assente da 10 anni: i Rammstein. È infatti del 2009 la loro ultima pubblicazione, quel Liebe ist für alle da nel quale il sestetto tedesco sembrava avere ritrovato una certa vena creativa, dopo le deludenti prove di Reise, Reise (2004) e Rosenrot (2005). Il disco, tuttavia, fece parlare di sé più che altro per le polemiche generate dal videoclip porno di Pussy e dal testo violento di Ich tu dir weh, rispetto all’effettivo contenuto musicale.

Il 17 maggio scorso il gruppo di Till Lindemann è tornato sulla scena con questo album senza titolo, rigorosamente composto da 11 tracce, come tutti i loro precedenti lavori.

Ad anticiparne l’uscita è stato il singolo Deutschland, il quale sicuramente ha sorpreso tutti positivamente. Introdotta dalle tastiere di Christian Lorenz, che subito fanno tornare alla mente Du riechst so gut (la canzone che nel lontano 1995 segnò il debutto dei Rammstein), Deutschland prosegue in un solenne canto d’amore, ma allo stesso tempo una sofferta autocritica, verso la patria del gruppo. Ad accompagnare il brano è il cupo e violento videoclip, nel puro stile della band, nel quale vengono un po’ ripercorse le tappe della storia della Germania, terminando con una versione strumentale al pianoforte di Sonne, trasformata in una marcia funebre per l’occasione. In un’ipotetica top 5 dei migliori brani di tutta la loro carriera, Deutschland vi sarebbe senza dubbio inclusa.

Assai meno memorabile è invece il resto del disco, il quale comunque, a differenza dei tre lavori precedenti, mantiene una certa solidità per tutta la sua durata e l’ascolto risulta godibile dall’inizio alla fine.

L’autobiografica Radio, con un riff ed un ritornello estremamente catchy, racconta i tempi della DDR, nella quale era severamente proibito ricevere frequenze d’oltreconfine e pervenire musica straniera. Ausländer è divertente nelle sue incursioni EDM, mentre Zeig dich, Sex e Tattoo sono troppo ancorate allo stereotipo della canzone dei Rammstein, difatti sono i tre brani peggiori della tracklist. Oltre a Deutschland, il momento migliore dell’opera è rappresentato dall’avvincente Weit weg, la quale dimostra che la colonna portante del gruppo, oltre al carismatico frontman, è Lorenz. Toccante è la breve ballad Diamant, ove sorprendentemente si nota che la melodiosa e penetrante voce di Lindemann non è per niente invecchiata, nonostante il nostro abbia ormai 56 anni.

Le restanti Puppe, Was ich liebe e Hallomann non aggiungono nulla al disco, ma nemmeno ne abbassano il livello, che si mantiene sufficientemente buono.

Quest’album senza titolo è con molta probabilità la migliore pubblicazione dei Rammstein dai tempi di Mutter ed avrà sicuramente appagato gran parte dei fan. Forse dopo 10 anni ci si aspettava qualcosina di più, ma di certo nessuno pretende che il gruppo possa tornare al livello dei primi tre dischi.

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