Rammstein
Mutter
I Rammstein sono una delle band più originali ma controverse delle scene rock e metal europee. Da una parte idolatrati anche eccessivamente da una corposa massa di fan, dallaltra massacrati da una altrettanto folta schiera di detrattori. Secondo questi ultimi, il loro sound pomposo, gli spettacoli pirotecnici dal vivo e unestetica non proprio sobria sono solo espedienti per mascherare una sottostante mancanza di idee e uninadeguatezza tecnica (effettivamente è innegabile che i riff di chitarra siano molto semplici). Come al solito, la verità sta nel mezzo. Inoltre, il semplice fatto di essere tedeschi, unito allincedere marziale dei loro brani e al cantato estremamente roco e grave del frontman Till Lindemann, costò ai Rammstein unassurda accusa di simpatie naziste, che verrà smentita proprio in questo Mutter: in Links 2 3 4 Lindemann, come gli altri membri del gruppo nato e cresciuto nella DDR, chiarisce una volta per tutte che il suo cuore batte a sinistra.
Terza fatica in studio del sestetto tedesco, Mutter, uscito nel 2001, è per i Rammstein il disco della svolta. I primi due album, Herzeleid (1995) e Sehnsucht (1997), rappresentano la fase del cosiddetto tanz metall, il cui manifesto è Du hast, durante la quale il marchio di fabbrica del gruppo era il rapporto simbiotico fra le chitarre di Richard Kruspe e Paul Landers e le tastiere di Christian Lorenz, con espliciti richiami a Kraftwerk e Depeche Mode. Fin dalla prima traccia, Mein Herz brennt, è evidente che in Mutter tutto diventa più oscuro, a farla da padrona sono dei granitici riff di chitarra uniti alle ritmiche del batterista Christoph Schneider, che si fanno più incisive e serrate.
Sonne, Ich will e Feuer frei! sono, e a ragione, probabilmente i tre brani più noti del gruppo: riff indimenticabili, ritornelli-inno e adrenalina, gli ingredienti perfetti per unottima salsa Rammstein.
I notevoli testi di Lindemann trattano le tematiche più disparate, spesso raccontando storie affascinanti. È il caso di Spieluhr, uno degli highlight dellalbum, narrante la vicenda di un neonato che, erroneamente creduto morto, viene seppellito vivo assieme al suo carillon, fino ad arrivare al lieto fine: durante una festività dedicata ai morti, il suono del carillon viene udito dagli abitanti del villaggio, e il bimbo viene tratto in salvo.
Apice del disco è, tuttavia, la title-track, le cui tristi liriche hanno un forte sapore autobiografico. Si parte con calma dalla strofa, in cui la splendida voce di Lindemann - che quando vuole sa essere melodiosa e commovente - è accompagnata da un rilassante arpeggio, per poi esplodere in un solenne ritornello in cui, ancora, si ha la perfetta simbiosi fra chitarre e tastiere.
Il disco si perde via con le ultime tracce, le quali pagano il prezzo di quella ripetitività che sarà un difetto costante per tutta la carriera dei Rammstein, i quali difatti non sforneranno mai un vero e proprio capolavoro. Mutter rimane comunque un disco di eccellente fattura, il migliore in tutta la produzione del sestetto e il più importante: è qui che viene forgiato il definitivo Rammstein-sound. I lavori successivi della band, infatti, saranno sempre più autoreferenziali, pur concedendo qualche momento memorabile.
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