Meshuggah
obZen
Volevano ritornare a suonare canzoni, i Meshuggah, con il nuovo album: materiale più facilmente scomponibile in unità indipendenti e dunque più facilmente riproducibile dal vivo rispetto al monolitico disco precedente. Ma come non fare i conti con un capolavoro come Catch Thirtythree, sicuramente un album ancora in larga parte sconosciuto ed incompreso, ma del quale i migliori artisti, non solo metal ma di un po tutti i generi, hanno ben saputo far tesoro?
Perché è ormai difficile non condividere il fatto che in tempi in cui si sprecano i post post rock, post metal, post pop, ormai tutto è post-tutto in operazioni che spesso sanno più di riciclaggio o provocazione che di novità la proposta del quartetto nordico ha avuto il pregio di aver illustrato alla perfezione e in maniera meravigliosamente musicale più che testuale, la condizione delluomo contemporaneo, smarrito nellera tecnologica tra cifre e codici che portano a somme e risultati ai quali egli è alieno, e al quale rimane la dimensione del sogno come unico appiglio per (fingere di) considerarsi vivo e superiore alle macchine, che tuttavia viene frustrata definitivamente nello scoprirla immediatamente ed irrimediabilmente già corrosa, malata e compromessa. Hanno vinto le macchine, luomo non vuole riconoscerlo ma ormai ha trasferito alle macchine, alle cose, agli oggetti la proprietà di determinare il corso degli eventi: luomo, è già stato detto da decenni, è antiquato, ma non lo è mai stato come oggi.
Non è cambiata la situazione, non sono dunque cambiati i Meshuggah. Che inscrivono lultimo lavoro in studio in una riflessione sulla società moderna, che come illustrato tanto nella copertina che nel titolo obZen, mix di obscene e Zen si è venduta ad una religione della vergogna, dellosceno, ad un credo malato che più che condurre ad una salvezza sembra ormai lunica forma di forzata consolazione. Ritorna quindi nella musica la scomposizione matematica dei riff, il bending (che fa un passo in avanti rispetto a Catch 33, soprattutto in Bleed, dove è reso più macroscopicamente in veloci passaggi cromatici terzinati), lirreversibile malattia degli assoli, diluiti in lunghe tirate mono-nota che dipingono in pennellate lentissime paesaggi mentali desolanti, i passaggi più volutamente psichici, sulla falsariga di The Paradoxical Spiral. Non mancano i soliti lievi spiragli di salvezza: Thomas Haake, che stavolta suona davvero, in mezzo al consueto ordinatissimo caos continua a scandirci sempre e comunque i quarti sui piatti, mentre mister Jens Kidman segue a cantare la sua monocromatica litania. Segnali invariabili durante tutti e cinquantatré i minuti dellascolto, che però nella loro inamovibilità servono anche da evidenziatori dellinferno che li accompagna.
Ma non si sta parlando di una copia del precedente lavoro, anzi: non solo cambia la forma-canzone le canzoni sono quasi tutte sui cinque minuti, tranne lultima, bellissima Dancers To A Discordant System, che chiude ancora una volta senza troppe speranze su una futura guarigione compositiva dei Meshuggah (per fortuna) ma si viene illusi del cambiamento già dal primo ascolto. Lopening Combustion con lalternanza cassa-rullante riporta indietro il calendario a Chaosphere e ci ricollega a sonorità decisamente più thrash e udite udite cè un vero e proprio malatissimo assolo, con tanto di salto di tonalità. Ma lillusione si schianta prima sulle pennate languidissime e pesantissime di Electric Red per poi venire del tutto frantumato dalla violenza di Bleed. Giusto il tempo di riflettere con Lethargica che si appoggia su un avvio abbastanza collaudato per liquefarsi in un finale che pare la continuazione di Strings Pulled At Random dove la dissolvenza sembra solo rendere il tutto ancora più ipnotico prima che la title track obZen apra la seconda e più significativa parte del disco su sonorità che assommano le più diverse esperienze della band. Da qui in poi si respira infatti molto Catch Thirtythree, ma ci si apre spesso a sfuriate più tipicamente thrash tipiche del periodo pre-I della discografia del gruppo (la parte mediana della stessa obZen) quanto ad atmosfere alla Nothing (già presenti nel fraseggio mediano di Electric Red, ma ben visibili anche in The Spiteful Snake). Il binomio Pineal Gland Optics e Pravus pare essere quello nel quale le istanze diverse degli ultimi dieci anni di carriera discografica dei Meshuggah trovano la migliore confluenza (soprattutto Pravus pare una canzone dei primi tempi riarrangiata alla maniera di I), prima che la già citata Dancers To A Discordant System assommi in sé già solo nei primi secondi, tra le altre, The Paradoxical Spiral (il bicordo inziale), Perpetual Black Second (la furia del riff), Spasm (il cantato), il tutto in formato di dimensioni epiche alla In Life - Is Life/In Life - Is Death, che già i fan probabilmente smaniano per vedere suonare dal vivo.
E lalbum della sintesi, riuscitissima.
E del resto andare più avanti di quanto fatto con Catch Thirtythree pare davvero impossibile. Perché i Meshuggah hanno scelto ormai da tempo di non andare più avanti, ma di scendere in basso, seguire la spirale che porta sempre più dentro di noi, oggi, e cantare senza tanti giri di parole quello che vi hanno trovato. Testimoni dellapocalisse, coscienti della fine imminente, affidano alla propria indignazione e disperazione lultima e lunica lucidissima testimonianza della propria esistenza ed urlano, come ultimo atto della rivolta, la propria collera in faccia ad un dio tecnologico da noi creato ma ormai sconosciuto.
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