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R Recensione

8/10

Karate

Unsolved

La seconda metà degli anni ’90 è grigia e nevosa come la Chicago ghettizzata che ha immaginato Elvis.

Per la verità, la musica aveva iniziato ad arrancare e a dissolversi già da un pezzo (tutto il calderone post-), e allora era inevitabile che la sua carica emotiva, già da tempo depotenziata, messa in sordina, in qualche modo mutilata sul nascere, divenisse esclusivamente implosiva.

Gli American Football, nel 1999, esortavano i fratelli a restare a casa.

E allora io dico che se gli anni ’60 sono esuberanti e vitali, se gli anni ’70 sono Narciso che si guarda allo specchio prima di cascarci dentro, se gli anni ’80 sono piovosi e miserabilisti, allora gli anni ’90 sono il regno dell’apatia, totalmente dominati (nella seconda metà) dalla sensazione che il meglio sia irrimediabilmente alle spalle.

Perlomeno, chi ha forgiato la propria adolescenza in quel decennio, come il sottoscritto, conserva ricordi simili: eclissata la cometa del grunge, noi piccoli appassionati di musica ci siamo rinchiusi in camera per confrontarci vis a vis con la nostra anima, musicalmente soffrendo di solitudine per una realtà oramai divenuta completamente antisociale.

I Karate sono (quasi) gli American Football in versione soft-jazz. La magia rarefatta e il pathos devastato di “American Football” non possono essere pareggiati, ma ciò non toglie che i Karate siano emo-corers talentuosi, ai limiti del virtuosismo, oltre che pasionari non meno convinti di Mike Kinsella.

Come i colleghi, mettono la firma sul testamento dell’epoca indie-autenticista, coniando un linguaggio al confine fra ruvidezze post-core, arabeschi e slogature jazz (Geoff Farina, leader e autore, è diplomato al conservatorio in chitarra jazz), emotività commestibile e introversa, paesaggi strumentali imparentati con il post-rock. il tutto, a creare un atipico slow-core.

Come i colleghi, i Karate impersonificano la fine di un’era: quella del rock inteso come coaugulante sociale, come strumento di espressione della gioventù e dei suoi tormentati percorsi, storici e interiori.

Unsolved” cristallizza lo stile Karate forse meglio dei lavori precedenti (lo splendido “The Bed is in in the Ocean”), anche e soprattutto perché non sbaglia una mossa. Ad esempio, le splendide “Small Fires” o “The Roots and The Ruins” sono l’equivalente in miniatura di suite progressive: procedono a strappi e scossoni, elettriche e scostanti, ricche di salti nel vuoto, ricamate da un florilegio di accordature di chitarra jazz (un paio di solo sembrano strutturati sulle folate di accordi giocate su ritmi impossibili da Wes Montgomery e Charlie Christian).

A tratti sembra quasi di ascoltare una versione meno nervosa dei Minutemen, magari dopo che Watt e Boon hanno studiato a fondo la lezione di Slint e compagnia. E non è tutto qui (manco fosse poco): “Number Six” – oltre a mettere sul piatto l’ennesima melodia sghémba, ruvida  – aggiunge alla miscela un solo quasi santaniano, venato di impressioni iberiche. “One Less Blues” dimostra invece che Geoff Farina è un degno discepolo di Kinsella anche per lo straripante pathos che infonde nei brani: più che cantare, bisbiglia, racconta con la sua voce carente e stentata (nella migliore tradizione indie-rock), una voce incredibilmente densa e inconsolabile. Il finale in crescendo è degno del migliore soft-loud che verrà: solo che qui l’efficacia rappresentativa mi sembra di molto superiore, Geoff sfrutta la gamma espressiva della sua chitarra e la sua preparazione in modo limpido, ci nutre con il suo virtuosismo senza risultare schiavo di ideali come ostentazione, pulizia, perfezione.

The Halo of the Strange” è il mio pezzo preferito: quasi una ballata folk che singhiozza, circondata da bagliori sinistri, da passaggi strumentali angolari e pieni di fratture, con tanto di solo di chitarra che evoca a momenti l’ultimo Bill Frisell.

Non molto dissimile è "The Angels Just Have To Show”, degna delle creature migliori di Mike Kinsella, con un basso melodico e allusivo, mentre la chitarra maciulla accordature aperte e l’eterno adolescente Farina disegna l’ennesimo spunto melodico toccante.

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Voto degli utenti: 7,5/10 in media su 3 voti.
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C Commenti

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Franz Bungaro (ha votato 7 questo disco) alle 9:41 del 25 settembre 2014 ha scritto:

Grazie Francesco per portare finalmente i Karate su Storia della Musica. Unsolved non è tra i miei album preferiti (che sono i primi 3, con "The Bed is in the ocean" assoluto capolavoro, a seguire "In place of real insight" e quindi il disco d'esordio. Unsolved mi piace meno perchè a parte belle eccezioni (soprattutto, la magnifica "Sever") rappresenta il disco della virata dei Karate verso il metodo jazz più o meno classico, a dispetto della rabbia hardcore decelerata e ricamata di jazz e di blues dei primi momenti. Unsolved è lo spartiacque della loro carriera, conserva ancora parte dell'energia e della genialità delle prime opere ma il suono comincia a "normalizzarsi", a divenire confondibile. Non sono tanto d'accordo poi sulla presunta derivazione e sudditanza di Farina nei confronti di Kinsella. Personalmente credo sia il contrario, anche solo per banali questioni cronologiche. Per quanto tra i due non ci vedo tutte queste affinità. Kinsella per me è un chitarrista math-tto con parentesi emo-tive. Farina è un chirrista "classico" prestato al hardcore lento. Piccola precisazione: Credo che Geoff non sia diplomato in chitarra jazz ma in songwriting, al Berklee. Per il resto, grazie ancora!

FrancescoB, autore, alle 15:20 del 25 settembre 2014 ha scritto:

No beh ho evidenziato (spero la cosa sia comprensibile) l'affinità spirituale con Kinsella, musicalmente c'è una certa differenza nell'uso della chitarra, sono d'accordo: è l'humus spirituale-emotivo a essere molto simile. Sulla laurea le mie fonti dicono ciò che ho scritto, magari visto che hai il contatto diretto puoi approfondire

Franz Bungaro (ha votato 7 questo disco) alle 15:31 del 25 settembre 2014 ha scritto:

"I just studied songwriting at Berklee, which was my university. Then I did my Master's thesis at UMass Boston." Me lo scrisse lui quando scrivevo la monografia su di lui

FrancescoB, autore, alle 15:36 del 25 settembre 2014 ha scritto:

Ah ecco, fonti imprecise allora...Sistemerò nei modi dovuti!

Franz Bungaro (ha votato 7 questo disco) alle 15:46 del 25 settembre 2014 ha scritto:

...ma figurati, può pure rimanere così, è un dettaglio quasi irrilevante...ne approfitto per fare due nomi di band che tanto hanno influenzato il suono dei Karate...i Codeine e i Talk Talk. Quando I Karate cominciavano questi due gruppi avevano da poco rilasciato i loro capolavori e i Codeine, erano nella stessa "comitiva" di Geoff Farina e soci, tanto e vero che dopo i Karate Farina ha fatto un mucchio di cose con Chris Brokaw, batterista dei Codeine, che passerà però alla chitarra nelle sue cose future, incluse quelle con Farina.

Scusa ma siamo nel mezzo della musica che adoro...per questo ti ringrazio tanto!

fabfabfab (ha votato 8 questo disco) alle 12:23 del 26 settembre 2014 ha scritto:

Davvero un bel disco, l'ho consumato. Poi li ho visti dal vivo e mi hanno annoiato a morte, vabbeh. Gran chitarrista, molto più "canonico" e blues rispetto a Kinsella, ma il paragone secondo me ci sta.

Franz Bungaro (ha votato 7 questo disco) alle 12:37 del 26 settembre 2014 ha scritto:

paragone (forse) si, ma discepolo no!...t'invidio, io non ho mai visto i Karate dal vivo...cosa pagherei per rischiare di annoiarmi un pò anch'io...

OlioCuoreNero (ha votato 7,5 questo disco) alle 14:51 del 24 febbraio 2016 ha scritto:

I Karate dal vivo erano qualcosa di incredibile, altro che balle. Fabio aveva evidentemente qualcosa di epocale da fare dopo il concerto . Che poi si parla sempre di Farina, ma Goddard e McCarthy erano anche loro ad un livello impressionante. E dal vivo il tocco e le dinamiche lasciavano senza fiato. Bei tempi.

fabfabfab (ha votato 8 questo disco) alle 18:09 del 24 febbraio 2016 ha scritto:

E io mica ho detto che erano dei caproni. Ti dico solo che dopo 19600 note di chitarra mi sono addormentato. Ed erano al terzo pezzo.

OlioCuoreNero (ha votato 7,5 questo disco) alle 8:45 del 25 febbraio 2016 ha scritto:

Ah, li avrai visti quando ormai si facevano una pippa ogni tre per due. Io ricordo un concerto al Leoncavallo, credo fosse uscito da poco proprio quest'album (Farina aveva aggiunto un pedale di delay alla sua sontuosa strumentazione costituita, fino a quel momento, da ben due elementi: chitarra e amplificatore). Fu uno dei migliori concerti della mia vita. Poi li rividi altre due volte, quando anche i loro dischi avevano iniziato a piacermi meno. E lì sì, credo di aver guardato più che altro le ragazze in sala. Ce n'erano diverse niente male. Tutto sommato furono buoni concerti anche quelli.