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R Recensione

6/10

Orphaned Land & Amaseffer

Kna'an

Dal momento che, a distanza di mesi dalla sua pubblicazione, si susseguono ancora le recensioni negative di fan delusi da Harry Potter and the Cursed Child, solo perché si tratta della sceneggiatura teatrale e non di un non meglio precisato “Harry Potter 8” (bastava leggere la copertina del libro…), conviene spendere due parole sulla nascita e sulle finalità di “Kna’an”. Quanto viene preso in analisi, all’interno di questa recensione, non è il successore di “All Is One” o “When The Lions Leave Their Den”, bensì una collaborazione fra due pesi massimi del metal israeliano, stretta in occasione della stesura del commento musicale dell’omonimo dramma (una rivisitazione delle vicende epiche legate alla dinastia di Abramo, che porta la firma di Walter Wayers, direttore del Landestheater Schwaben di Memmingen). Il progetto è curioso, ma non giunge completamente inatteso. È, in fondo, l’approdo ideale per le formazioni guidate da Kobi Farhi e Erez Yohanan: da un lato per il loro orientamento ideologico, la cui impronta identitaria è da sempre preponderante nei rispettivi immaginari (anche se, eccezionalmente, in accezione unitaria e non divisiva), dall’altro per la densità specifica di un suono che – in un caso e nell’altro – si è progressivamente depurato dalle asperità e drammatizzato nel susseguirsi degli anni e delle uscite.

Il modello-soundtrack costringe i gruppi a confrontarsi con le limitazioni spazio/temporali del proscenio teatrale: l’epopea prog viene spesso compressa in uno svolgimento ellittico, le intuizioni centellinate, le grandiose armonie ricreate in minore e deprivate di molta della loro potenza. Anche per questo, gli sbilanciamenti orchestrali e metallici sono ridotti al minimo: l’idea deve arrivare subito, abbozzata almeno nelle sue caratteristiche principali. Solo la grandeur folk metal di “Akeda” (quasi cinque minuti: non irresistibile, a dire il vero) sembra poter violare questo principio: scriviamo “sembrare” perché, non avendo assistito allo spettacolo e non avendo a disposizione alcun supporto visivo, non sappiamo quanto di quel brano sia stato effettivamente impiegato. Maggiore sobrietà espressiva, in generale, giova all’impianto complessivo del disco: la seconda metà di “Fruits From Different Trees – Ishma’el And Itzhak” (aperta da un grandangolo pianistico di comprovata efficacia cinematografica) è degna del songbook di “Mabool – The Story Of The Three Sons Of Seven”, “The Angel Of The Lord” è un discreto passaggio hard rock contrappuntato da efficaci cori, mentre il volteggiare di archi e lo sfregare di corde nel refrain di “Naked – Abraham” ottiene il suo effetto emotivo. V’è, naturalmente, qualche passaggio a vuoto (lo stucchevole goth rock a due voci di “The Burning Garden – Sarah And Hagar”, il melismo spinto e ingiustificato di “A Tree Without No Fruit – Sarah”, il ritornello da arena rock di “There Is No God For Ishma’el”), riscattato però dalla generale, ottima fattura degli interstizi acustici che, legando una parte all’altra, si rivelano la vera forza di un progetto del genere (si confrontino “A Dove Without Her Wings – Hagar”, l’inciso folk di “The Loneliness Of Itzhak” e la conclusiva preghiera laica di “Prisoners Of The Past”).

Certamente non indispensabile, e pressoché irrilevante se confrontato con la produzione degli anni migliori (soprattutto quella degli Orphaned Land), “Kna’an” rimane comunque un ascolto stimolante e diverso dal solito. Mezzo punto in meno per non aver reso disponibile un supporto video mai come in questo caso indispensabile.

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