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R Recensione

5,5/10

Mythic Sunship

Land Between Rivers

Con “Land Between Rivers”, il 12” strettissimo successore del full lengthOuroboros” (2016), i danesi Mythic Sunship sacrificano l’improvvisazione jazzistica latente nel loro interplay per abbracciare il lato più geometrico e circolare delle free form hard rock. Coincidenza o meno, questo cambio di rotta viene propiziato dalla presenza, dietro il mixer, di Jonas Munk dei Causa Sui: un indizio che parla più di tantissime parole. Sfrigolano ancora di pura energia elettrica, le lunghe immersioni strumentali del quartetto di Copenhagen, ma in maniera sottilmente diversa: più intontita, meno sfavillante, meno appariscente. Purtroppo per noi (e per loro), anche il risultato è, proporzionalmente, assai meno interessante.

Il battesimo mistico di “Nishapur”, che si disvela tra ambrate inserzioni di tablas e arpeggi trattenuti, non tragga in inganno: motore della jam è il basso lento, cadenzato, mesmerizzante di Rasmus Cleve Christensen, un Al Cisneros scandinavo che regola direzione ed intensità del dialogo chitarristico fra Emil Thorenfeldt e Kasper Stougaard Andersen. Il gruppo lavora su piccoli segmenti melodici sempre identici, rimpallati in un crescendo di volume e spessore che, tuttavia, non aggiunge granché a quanto fino ad allora proposto: la composizione, difatti, perde vistosamente quota già intorno al tredicesimo minuto, stiracchiandosi ancora per un po’ su sezioni di semitoni leggermente dissonanti. Nettissima e sorprendente, per questo, è la discontinuità marcata dalla prima parte di “High Tide”, un blues supersonico (c’è un che delle frastornanti dinamiche live dei Motorpsycho) come lo suonerebbero gli Ash Ra Tempel: tuttavia, proprio quando il carburante sembra esaurirsi e ci si aspetterebbe un rilancio, il pezzo inizia ad incaponirsi su ragnatele di inconcludenti fraseggi acidi, scaraventati fuori con forza belluina. In chiusura, “Silt” avrebbe la possibilità – in metà della durata – di ovviare alle gestioni bipolari degli episodi precedenti: curioso come la frase chitarristica portante, ripetuta allo sfinimento, dia invece l’impressione che il brano non sia mai iniziato, strozzato anzitempo da tensioni contrapposte. Una trovata riuscita ma, sostanzialmente, fuori contesto.

Tempo per redimersi ce n’è in abbondanza, i mezzi non mancano: aspetteremo nuovamente i Mythic Sunship alle soglie della prossima prova.

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