Ac-Dc
For Those About To Rock We Salute You
Gli Ac-Dc fanno sempre la stessa canzone, ma è una grande canzone! chiosava in una vecchia intervista il virtuoso chitarrista Edward Van Halen, richiesto di un parere su questo gruppo. E una definizione che non fa una piega, la ripetitività regna infatti sovrana in tutta la loro cospicua discografia che ha preso le mosse verso la metà degli anni settanta.
Così come lassoluta banalità dei testi, spesso e volentieri burinissimi racconti di sensazionali bevute, scopate ed esagerate assunzioni di stupefacenti vari. Lo stereotipo di gruppo semplice e senza alcun anelito artistico cè tutto, logico che chi cerchi dalla musica ricchezza concettuale e brivido poetico si senta spinto ad evitarli accuratamente.
Eppure cè del genio in questi rocchettari australiani trapiantati a Londra e da lì esplosi in planetario successo. E una genialità ben inquadrabile e semplice, ma sufficiente ad inserirli a pieno merito nella storia del rock e può essere descritta così: la musica degli Ac-Dc possiede un assoluto, irraggiungibile senso del tempo, della dinamica e delleconomia musicale.
In altre parole essi posseggono la virtù assoluta del riff di chitarra, la frase musicale reiterata che incastrandosi colle sue sincopi nel ritmo scandito da basso e batteria, crea dinamiche che caricano lascolto di sospensione e di urgenza, bravamente dissolte poi dallesplosione dei ritornelli, condotti con accordi pieni e liberatori, da tutti i musicisti in unisono a fare il massimo del casino.
Al brillante incastro giocano in effetti due chitarre, quelle in mano ai due fratelli Young ma è il più giovane Angus, il compositore del gruppo, ad avere tutte le intuizioni ritmiche che fanno la differenza e sulle quali il fratello Malcom può giocare di sponda, contrastando oppure doppiando a seconda dei casi la figura ritmica principale.
La magia degli Ac-Dc sta dunque nella ritmica delle chitarre, il resto è corollario, compresi gli urli del cantante Brian Johnson, encomiabile nel tirar fuori dalla strozza, da quasi trentanni a questa parte, un timbro rasposo e potente, di pura gola, senza essersi ancora giocato le corde vocali. E corollario anche la curiosa mutazione che subisce il buon Angus Young non appena imbraccia la chitarra davanti a un pubblico.
Questo strambo ma serissimo e bravo musicista è in possesso di uno stile molto preciso e pulito, sin dalle scelte di suono (quasi nessuna distorsione nella regolazione dei suoi amplificatori), rispettoso dei maestri del rock blues negli assoli. Mentre dunque accompagna preciso e brillante o svisa ancora preciso e ancora brillante sebbene un po scolastico, il suo corpo è in preda ad una stupefacente attività: piccoletto e semivestito (si è inventato una improbabile mise da palco da collegiale in braghe corte e cappellino) egli zompetta di qua e di là in preda ad una frenesia motoria a livelli epilettici. Assurda diventa lassociazione fra la compostezza delle sue mani sullo strumento, lefficienza e la precisione del suono che esce dai suoi amplificatori e il parossistico trasporto a cui si lascia andare tutto il resto del suo corpo. Lui dice che gli viene naturale, che da fermo non riesce a suonare bene! E un vero dottor Jeckill del rock, sembra matto ma non lo è, suona forte e chiaro, alla grande!.
Questo album è fra i loro migliori. Uguale a tutti gli altri loro, come già detto, ma la collezione di riff è di trovate ritmiche è fra le più riuscite della loro carriera. La stessa grande canzone risuona bene fra una traccia e laltra, con assoluta vigoria e trascinanza.
Gli Ac-Dc sono da gustare a piccole dosi, come un liquore molto molto forte. Non ti sfama, non ti disseta, ma ti fa stare bene. Rappresentano al massimo livello il rocknroll fine a se stesso, senza pretese, onestamente grezzo ma non rozzo.
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