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R Recensione

8/10

Ac-Dc

For Those About To Rock We Salute You

“Gli Ac-Dc fanno sempre la stessa canzone, ma è una grande canzone!” chiosava in una vecchia intervista il virtuoso chitarrista Edward Van Halen, richiesto di un parere su questo gruppo. E’ una definizione che non fa una piega, la ripetitività regna infatti sovrana in tutta la loro cospicua discografia che ha preso le mosse verso la metà degli anni settanta.

Così come l’assoluta banalità dei testi, spesso e volentieri burinissimi racconti di sensazionali bevute, scopate ed esagerate assunzioni di stupefacenti vari. Lo stereotipo di gruppo semplice e senza alcun anelito artistico c’è tutto, logico che chi cerchi dalla musica ricchezza concettuale e brivido poetico si senta spinto ad evitarli accuratamente.

Eppure c’è del genio in questi rocchettari australiani trapiantati a Londra e da lì esplosi in planetario successo. E’ una genialità ben inquadrabile e semplice, ma sufficiente ad inserirli a pieno merito nella storia del rock e può essere descritta così: la musica degli Ac-Dc possiede un assoluto, irraggiungibile senso del tempo, della dinamica e dell’economia musicale.

In altre parole essi posseggono la virtù assoluta del riff di chitarra, la frase musicale reiterata che incastrandosi colle sue sincopi nel ritmo scandito da basso e batteria, crea dinamiche che “caricano” l’ascolto di sospensione e di urgenza, bravamente dissolte poi dall’esplosione dei ritornelli, condotti con accordi pieni e liberatori, da tutti i musicisti in unisono a fare il massimo del casino.

Al brillante incastro giocano in effetti due chitarre, quelle in mano ai due fratelli Young ma è il più giovane Angus, il compositore del gruppo, ad avere tutte le intuizioni ritmiche che fanno la differenza e sulle quali il fratello Malcom può giocare di sponda, contrastando oppure doppiando a seconda dei casi la figura ritmica principale.

La magia degli Ac-Dc sta dunque nella ritmica delle chitarre, il resto è corollario, compresi gli urli del cantante Brian Johnson, encomiabile nel tirar fuori dalla strozza, da quasi trent’anni a questa parte, un timbro rasposo e potente, di pura gola, senza essersi ancora giocato le corde vocali. E’ corollario anche la curiosa mutazione che subisce il buon Angus Young non appena imbraccia la chitarra davanti a un pubblico.

Questo strambo ma serissimo e bravo musicista è in possesso di uno stile molto preciso e pulito, sin dalle scelte di suono (quasi nessuna distorsione nella regolazione dei suoi amplificatori), rispettoso dei maestri del rock blues negli assoli. Mentre dunque accompagna preciso e brillante o svisa ancora preciso e ancora brillante sebbene un po’ scolastico, il suo corpo è in preda ad una stupefacente attività: piccoletto e semivestito (si è inventato una improbabile mise da palco da collegiale in braghe corte e cappellino) egli zompetta di qua e di là in preda ad una frenesia motoria a livelli epilettici. Assurda diventa l’associazione fra la compostezza delle sue mani sullo strumento, l’efficienza e la precisione del suono che esce dai suoi amplificatori e il parossistico trasporto a cui si lascia andare tutto il resto del suo corpo. Lui dice che gli viene naturale, che da fermo non riesce a suonare bene! E’ un vero dottor Jeckill del rock, sembra matto ma non lo è, suona forte e chiaro, alla grande!.

Questo album è fra i loro migliori. Uguale a tutti gli altri loro, come già detto, ma la collezione di riff è di trovate ritmiche è fra le più riuscite della loro carriera. La “stessa grande canzone” risuona bene fra una traccia e l’altra, con assoluta vigoria e trascinanza.

Gli Ac-Dc sono da gustare a piccole dosi, come un liquore molto molto forte. Non ti sfama, non ti disseta, ma ti fa stare bene. Rappresentano al massimo livello il rock’n’roll fine a se stesso, senza pretese, onestamente grezzo ma non rozzo.

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Voto degli utenti: 6/10 in media su 15 voti.
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bart 5/10
luca.r 6,5/10
Muten 4/10

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Vikk (ha votato 6 questo disco) alle 10:42 del 5 novembre 2007 ha scritto:

Chi dice che gli AC/DC hanno sempre fatto la stessa canzone non ha mai ascoltato veramente la band che dopo la morte di Bon Scott e' passata da un boogie-r'n'r-blues ad un elettrico r'n'r-metal.

Da fan della band posso dire che questo album, a parte la grandiosa title-track, ricalca in maniera scialba il milionatrio predecessore "Back In Black"; si salvano grazie all'esperienza, ma brani con "Inject The Vemon" sono imperdonabilmente banali.

L'inizio del declino della band negli anni 80, ma dopo una doppietta da storia della musica come "Highway To Hell" e "Back In Black" era inevitabile.

SanteCaserio (ha votato 6 questo disco) alle 19:40 del 7 novembre 2008 ha scritto:

Volutamente

non avevo letto le recensioni già presenti degli AC-DC. Non volevo farmi influenzare nel compito di Black Ice...Forse invece era il caso, visto che l'incipit è molto simile

Come mai proprio questo disco? Adombrato dai due capolavori che lo precedono, è uno degli episodi mediocri (ne hanno fatti anche di peggiori).

Concordo soprattutto con il liquore forte (alcolizzato quale sono)

PierPaolo, autore, alle 9:27 del 10 novembre 2008 ha scritto:

E perchè non questo, Sante?

La ragione è comunque molto semplice: ho trovato il CD in offertissima in una qualche bancarella e me lo sono risentito dopo una vita (possedevo l'LP, a suo tempo). Buon per te, che se ne avrai voglia potrai recensire "Highway To Hell" e "Back In Black" su Storia, se ne avrai voglia. Naturalmente concordo con te sui due vertici del gruppo, ma a mio parere "For Those About To Rock" viene subito dopo.

SanteCaserio (ha votato 6 questo disco) alle 12:29 del 10 novembre 2008 ha scritto:

Non c'è un vero perchè, PierPaolo

Semplicemente è un peccato che manchino Back in Black e (soprattutto) Highway. Come hai detto tu è comunque un opportunità. Non mancherò (se qualcuno non mi precede )

PetoMan 2.0 evolution (ha votato 8 questo disco) alle 22:34 del primo marzo 2010 ha scritto:

Ottimo disco, inferiore a Back in Black, ma spakka

Bellerofonte (ha votato 6 questo disco) alle 21:02 del 29 marzo 2010 ha scritto:

Un buon lavoro senza dubbio, ma nulla a che vedere con Back in Black e soprattutto con Highway to hell che che è un album che ti fa pogare anche da solo in camera tua mentre lo ascolti!

bart (ha votato 5 questo disco) alle 12:06 del 18 aprile 2010 ha scritto:

Ripetitivo