Deep Purple
In Rock
Con una stupefacente metamorfosi che non ha eguali nella storia del rock, i Deep Purple con questo loro quinto album danno una clamorosa svolta/impennata alla loro carriera, fin lì dignitosa ma niente di che, troppo in bilico fra diverse tendenze (pop, rock, progressive ) per abbracciare, forgiare, dare una loro dimensione brillantissima divertente e spettacolare al rock duro ed entrare così nella storia.
Artefici di questa messa a fuoco musicale, colma di qualità e grinta, i due nuovi arrivati nella formazione: Roger Glover va a rimpiazzare Nick Simper al basso: tecnicamente siamo lì ma è grande la sua propensione ad inventarsi riff irresistibili nella loro schematica semplicità, accessibili a tutti a livello contagioso, nonché a prendersi da subito certe redini del gruppo a livello di gestione delle idee e dei suoni, di ordinamento ed organizzazione della creatività collettiva, grazie al suo carattere equilibrato, positivo e ostinato.
Ian Gillan va invece a rilevare il ruolo del modesto cantante Rod Evans. Il suo stile passionale e penetrante, grazie anche ad un falsetto (allora) strapotente, è la ciliegina sulla torta, il giusto pretesto per gli altri per darci dentro con ritmi e volumi, senza esitazioni.
Vista la pacca assicurata dai due nuovi, ai restanti tre musicisti viene appunto comodo accantonare i pruriti classici (dovuti a Jon Lord, lorganista), quelli folk (prediletti da Ritchie Blackmore, il chitarrista) e progressive (tentatori di Ian Paice, il batterista) e concentrarsi nella direzione più logica: potente, diretto, accessibile hard rock senza compromessi, con grande interazione fra i tre solisti sospinti da una sezione ritmica che viaggi come un treno.
A Gillan viene chiesto più che altro di urlare e (per ora) esegue con grande voglia e vitalità. A Lord viene chiesto di limitarsi allorgano e lui, pianista di formazione classica, inizia da qui la sua assoluta fama di svisatore ed improvvisatore senza pari sulle note acute dellHammond, rese squassanti dal vorticare della tromba dellampli Leslie e da una leggera, incisiva distorsione. Paice non è da meno, convogliando la sua impareggiabile creatività in ritmi efficaci ed impeccabili.
Di Blackmore, il più esposto insieme a Gillan dato il tipo di genere musicale così abbracciato dal gruppo, si può dire che entri direttamente, con questi quaranta minuti di scorribande chitarristiche, nellolimpo dei grandissimi chitarristi, quelli che hanno fatto venir voglia di imbracciare lo strumento a milioni di persone.
Il disco inizia spettacolarmente (Speed King) con un intero minuto di frastuono assoluto, free form, di quelli che si è soliti aspettarsi magari alla fine del bis nei concerti. Quando Blackmore smette di maltrattare la leva della chitarra e Paice di colpire tutto ciò che, di pelle o di metallo, gli stia davanti, rimane liturgico lHammond a disegnare un solenne e mistico tappeto
Spezzato senza pietà da un riff che più scolastico non si può, ma solcato dalla fantastica ugola strozzata di Gillan che rovescia con grinta pazzesca un fiume in piena di frasi concitate. Che botta! La cosa va avanti per un paio di ritornelli poi Paice e Glover mollano il colpo uscendo dal contrattissimo riff e cominciando a swingare, portando chitarra ed organo a dimezzare anchessi i volumi e a duettare jazzisticamente. Giochi pirotecnici e gagliardamente smargiassi dei due virtuosi si avviluppano fino allapoteosi ed alla ricaduta nel riff per unulteriore strofa e lo strascicatissimo finale. Assolutamente brillante!
Segue la riempitiva Bloodsucker, breve e schematica, caratterizzata da un No No No , alla fine del ritornello, preso in falsetto dal (giovane) Gillan che spazza via tutto e tutti. Attualmente (lanzianotto) Gillan lo esegue ancora nei concerti, ma tre toni più in basso e con un decimo del fiato, ed è malinconico il confronto.
Lord apre con un tema suonato allorgano, con molto attacco e liricità, lunica ballata del disco, Child In Time, la quale dura ben dieci minuti perché Gillan, a seguire dopo la parte cantata, si inventa una progressione di gorgheggi sempre più acuti e lancinanti da far rizzare i peli sulla schiena, tanto spettacolari che il gruppo decide di farglieli ripetere due volte! Tra la prima e la seconda prestazione del cantante, un intermezzo strumentale con cambio di ritmo e devastante cavalcata di Blackmore sulla tastiera della sua Stratocaster. Metà della fama di questo chitarrista e tre quarti di quella del cantante risiedono in queste performance.
La lunga, riuscitissima e stranamente poco in vista nella memoria collettiva Flight Of The Rat è invece una rombantissima cavalcata hard rock fra le migliori in carriera. Irrompe con unineffabile riff di chitarra e si dipana per molti minuti, piena di stop&go, cambi strumentali, duelli fra Lord e Blackmore, pure un breve ed agilissimo assolo di batteria di Paice capace di un controllo delle sue bacchette sul rullante anche a frequenze inaudite.
Più famoso, mio malgrado, il pezzo che segue, quella Into The Fire dominata da un riffone di Glover sinceramente macchinoso, così come la ritmica sotto le strofe. Impagabile invece la potenza e la grinta con cui Gillan intona la frase del titolo.
Living Wreck è un altro riempitivo di buon livello, impreziosito dal sapiente uso del Leslie da parte di Jon Lord, e prepara il terreno per lultima Hard Lovin Man, nuova cavalcata hard rock dallincedere galoppante, dilaniata da melodie orientali di organo sature di distorsione e da contorsioni chitarristiche estreme, fino ai gemiti finali.
Punto di riferimento assoluto (insieme a coetanei come Led Zeppelin II, Paranoid dei Black Sabbath ) per centinaia di gruppi e di dischi a venire, questalbum è il perfetto archetipo di certo rock senzaltro poco profondo ed acculturato, se si vuole grossolano, maraglio, ma deliziosamente trascinante e tonico.
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