R Recensione

8/10

The Blue Öyster Cult

The Blue Öyster Cult

Il simbolismo tedesco (e l’effigie di Kronos) al servizio del rock americano.

L’uso dell’umlaut (ö) non è un’invenzione dei BÖC, ma di certo saranno i primi a portarlo in vetta alla storia della musica, sfruttando il simbolo in modo gratuito, senza grandi argomenti (come molti faranno successivamente). Che a proporlo sia stato il tastierista Allen Lanier o qualche critico musicale è gossip da riviste della nonna, perché è indubbio che alchimia, metascienza e occulto siano da sempre la via principale per il gruppo di New York, che prende il nome da una lattina di birra e/o un racconto di fantascienza.

È il 1971 (ma la pubblicazione sarà nel gennaio del 1972) e il mondo sembra dimenticarsi del lato negativo delle cose. Il disagio interiore, l’ambiguità dell’essere umano e dell’essere in generale (certi discorsi con i BÖC si possono fare) reclamano un bardo, o una razza di alieni pronta a invadere la terra (questo si cela dietro al nome del gruppo).

Pochi mesi prima era stata la volta del quarto album dei Jethro Tull (Aqualung), di Who's Next  e di Led Zeppelin IV. Difficile farsi spazio.

Il primo cd del quintetto varrà un biglietto da spalla per i concerti di Alice Cooper e i dei Byrds. Si farà apprezzare senza entusiasmare. Preparerà il campo ai due capolavori che seguiranno (Tyranny and Mutation – 1973 e Secret Treaties - 1974).

L’atmosfera malata che ancora oggi investe numerosi adepti (soprattutto americani) è già tutta condensata in queste dieci canzoni, a partire dall’opener Transmaniacon MC (We ‘re pain, we’re steel, a plot of knives), una sessione ritmica avvolgente dedicata ai motociclisti di Atlamont (non esattamente un convitto di frati).

Con la ballata di Then came the last days of may l’atmosfera diventa quasi psichedelica, una sorta di lento cullarsi in un oceano rock. Un suono dolce e ambiguo che dà la direzione, per preparare a una delle canzoni che resta tutt’oggi tra i migliori pezzi di hard rock (almeno tra i più apprezzati); Stairway to the stars, dal ritmo decisamente più vivo e con un movimento di chitarra (compreso l’assolo) che incalza senza sosta.

Se musicalmente ci sarà una buona maturazione nei già citati lavori successivi (toccando l’apice con il live del 1975 On Your Feet or on Your Knees)  c’è poco da obiettare ai testi.

L’allucinata Before the kiss, a redcap su tutte, che mescola parole dal senso ben nascosto a un gran giro di basso e un’ipnotica chitarra.

Visionari e con una mente malata? Forse semplicemente geniali, visto che riescono a trascinare in strade ignote senza mai immedesimarsi troppo con la loro immagine artistica (da escludere apparentemente l’ipotesi follia). Sarà la suggestione della copertina ma fa impressione chiedersi se siate circondati dal buio della stanza o vi troviate in qualche angolo dello spazio. Con She’s as beautiful as a foot c’è da rendere inquietante qualsiasi serata (mai farlo ascoltare al primo appuntamento, nascono strane situazioni).

In generale perdersi a descrivere i passaggi del periodo d’oro del gruppo (dieci anni con i componenti a pianta stabile sono una buona risorsa) sarebbe degno di interi volumi.

Il loro esordio è un tassello fondamentale del rock tutto, centrale anche per capire meglio i lavori più riusciti e che porta a lamentarsi per lo scarso prodotto discografico (non live) che proporranno dagli anni ’80 escludendo Imaginos (1988).

Ad alcuni ispirano noia, ma nessuno oserebbe mettere in discussione (al di là di una meno originale Cities on flame) la capacità creativa (oddio qualcuno lo fa, ma insomma ognuno è libero di sbagliare).

È la faccia dell’hard rock più ambigua e studiata. I BÖC sono certamente tra i primi a esplorare il lato oscuro della fantasia in modo così coraggioso.

Welcome to the workshop of the telescopes.

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Voto degli utenti: 7,5/10 in media su 11 voti.
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B-B-B 8/10
ThirdEye 7,5/10

C Commenti

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PierPaolo (ha votato 7 questo disco) alle 11:10 del 21 gennaio 2009 ha scritto:

Yeah, bella rece

Chissà se un giorno riuscirò a scrivere a mia volta una recensione sui BOC, sui quali ho idee assai di minoranza. Adoro la loro produzione ottantiana, svincolata dalle eccessive influenze extraterrestri del loro produttore e factotum Sandy Pearlman, preferisco il melodico Buck Dharma all'acido Eric Bloom e soprattutto al sopravvalutato Albert Bouchard... molte, molte cose da dire e spiegare insomma.

SanteCaserio, autore, alle 12:02 del 21 gennaio 2009 ha scritto:

Se scegli Imaginos

e argomenti in modo convincente conquisti un adepto!

PierPaolo (ha votato 7 questo disco) alle 13:03 del 21 gennaio 2009 ha scritto:

Uhm

Imaginos è proprio il colpo di coda di Bouchard, peraltro portato a compimento dai suoi ex compagni visto che lui si trovava nelle peste non essendo un polistrumentista ma solo un batterista/cantante. La storia di Imaginos è molto intrigante, ma forse per spiegare il mio punto di vista sarebbe meglio buttarsi su "Fire Of Unknown Origin".